Loxias-Colloques |  17. Arrigo Boito cent ans après 

Emanuele d’Angelo  : 

Boito “fidèle disciple” di Hugo

Résumé

Dans les années 1860-1870, les années les plus agitées et combatives de sa carrière, Arrigo Boito aimait se déclarer « fidèle disciple » de son « maître » Victor Hugo, qui a apprécié le jeune Italien enthousiaste de ses œuvres et de son engagement, comme en témoigne leur relation épistolaire décennale. Ce n’était pas seulement un épisode, parce que l’influence d’Hugo sur l’homme de lettres « scapigliato » était très grande (également dans le domaine politique) : auteur de deux études sur autant d’œuvres hugoliennes, très appréciées par Hugo lui-même, Boito a dérivé son écriture sophistiquée de celle du maître, en particulier dans la prose journalistique, et les romans de l’écrivain français, entre autres, étaient une source précieuse pour la poétique et la dramaturgie de ses livrets d’opéra, de Ero e Leandro au « Credo scellerato » de Jago dans Otello écrit pour Verdi.

Abstract

Between the Sixties and the Seventies, the most restless and combative years of his career, Arrigo Boito loved to declare himself « fidèle disciple » of his « maître » Victor Hugo, whose work and social commitment he greatly admired. As evidenced by their ten-year epistolary relationship, the renowned French literary man reciprocated his young Italian devotee’s appreciation. It was not just an episode, since Hugo’s influence on his « scapigliato » disciple was actually very profound, affecting also the political sphere. Boito authored two studies on as many works by Hugo that were highly appreciated by the French dramatist himself. He also derived his sophisticated writing style, especially in journalistic prose, from that of the « maître ». Finally, Hugo’s novels were, among other things, a precious source for the poetics and dramaturgy of his librettos, from Ero and Leandro to Jago’s « Credo scellerato » in Otello for Verdi.

Riassunto

Tra i Sessanta e i Settanta, gli anni più inquieti e battaglieri della sua carriera, Arrigo Boito amò dichiararsi « fidèle disciple » del suo « maître » Victor Hugo, l’ammirato letterato francese che a sua volta apprezzava il giovane italiano entusiasta delle sue opere e del suo impegno, come testimonia il loro decennale rapporto epistolare. Non fu solo un episodio, come ritenne Piero Nardi, perché l’influenza di Hugo sul letterato scapigliato fu effettivamente grandissima (anche in ambito politico) : autore di due studi su altrettante opere victorhughiane assai apprezzati dallo stesso Hugo, Boito derivò il suo sofisticato stile di scrittura, soprattutto nelle prose giornalistiche, da quello del maestro, e i venerati romanzi dello scrittore francese, tra l’altro, furono fonte preziosa per la poetica e la drammaturgia dei suoi libretti, dall’Ero e Leandro al Credo scellerato di Jago nell’Otello per Verdi.

Plan

Texte intégral

Hugo, Boito, libretto, intertestualità

1Il rapporto tra il giovane Arrigo Boito e il maturo Victor Hugo è un passaggio-chiave della carriera del geniale poeta-musicista scapigliato, eppure gli studi, fatte salve alcune eccezioni, non hanno data la giusta considerazione al peso dell’influenza victorhughiana sulla poetica e le scelte artistiche boitiane. Lo stesso Piero Nardi, il benemerito biografo di Boito nonché curatore della fondamentale edizione mondadoriana di Tutti gli scritti, ritenne il rapporto « un episodio », distinguendolo dalle altre due grandi passioni boitiane, Dante e Shakespeare1. Se è indubbio che l’autore della Commedia e il Bardo furono effettivamente per Boito due perni fissi e indiscussi, tuttavia Hugo fu per molti aspetti una personalità-cerniera, la connessione vivente tra i due giganti del passato, notoriamente amati e ammirati dallo stesso letterato francese. Lo stesso Boito scriveva a Hugo, il 30 aprile 1865, riferendosi a uno scritto su Dante annunciato dal suo corrispondente : « Au plus grand des morts il fallait le plus grand des vivants, à l’homme-époque l’homme siècle ».

2Parlando di « episodio », Nardi confina la passione boitiana per l’autore dei Misérables negli anni della giovinezza. È evidente che fu tra i Sessanta e i Settanta, gli anni più inquieti e battaglieri della sua carriera, che Boito si dichiarò « fidèle disciple » del suo « maître » Hugo, gli anni in cui i due intrattennero un decennale rapporto epistolare, non frequente ma significativo, interrotto – a quanto risulta – nel 18742. Ma l’impronta del grande letterato francese si impresse profondamente nell’immaginario poetico del giovane artista italiano, e, seppur esagerando, non va lontano dalla realtà Remo Giazotto, primo editore di alcune delle lettere di Boito al maître, quando afferma che

alla base di tutti i cicli assimilativi e trasformativi affrontati e superati da Arrigo Boito, tra il 1864 e la fine del secolo, sta il suo amore per Victor Hugo ; […] amore incancellabile, insostituibile, poiché capace di rievocare in ogni momento gli entusiasmi dei venti anni, di quando cioè si può credere, come superstizione ostinata, a una mano che si protenda dall’alto a svelarci con noi stessi3.

3Quelli della giovinezza furono gli anni di un’infatuazione immensa, travolgente, incondizionata, ma l’età adulta non portò al rigetto, alla cancellazione. Come ha rilevato Edoardo Buroni, « nel corso della maturità una simile ammirazione, nonostante l’adattamento dell’Angelo Tyran de Padoue per la stesura de La Gioconda, sembra essere svaporata leggermente, come è avvenuto più in generale negli ambienti intellettuali e culturali italiani, ma certo non si spense mai4 ». L’imprinting artistico e culturale di Hugo, infatti, continuò a guidare le scelte di Boito per tutta la vita, ma con una consapevolezza maggiore, separando i capolavori dalle opere minori, prendendo coscienza dei difetti delle scritture drammatiche ma tenendo ben stretti i pregi, i punti di forza, i fondamenti, con una particolare attenzione ai romanzi.

4Questa venerazione per lo Hugo narratore è evidente già nella stessa Gioconda, in cui Boito riscrive sì il dramma victorhughiano in modo talmente originale da renderlo irriconoscibile, ma lo fa ricorrendo in parte proprio ai romanzi del maître. Se Enrico Groppali ha fatto notare che Gioconda, in una Venezia fatta brulicante e immane come la Parigi di Notre-Dame, è « una teatrante errante, una sorta di Esmeralda che può contare al suo servizio una pittoresca corte dei miracoli formata da suoi “fedeli cantori” (sono loro a trafugare Laura dalla tomba e a consegnargliela priva di sensi nella casa della Giudecca)5 », non deve sfuggire che il finale dell’opera ricalca quello dei Travailleurs de la mer (1866), con Gioconda che unisce l’uomo amato alla sua amata e li fa fuggire via mare per poi suicidarsi, una variazione della fine di Gilliatt, che fa sposare l’amata Déruchette con Ebenezer e si lascia ingoiare dal mare mentre i due si allontanano sulle onde. La Gioconda insomma è, pur divergendo radicalmente dall’Angelo, un dramma ‘diversamente victorhughiano’, ergo boitiano, influenzato non tanto dal teatro di Hugo quanto dai suoi visionari romanzi, specialmente L’Homme qui rit (1869), un « dramma fuori dalle proporzioni normali » (come lo definiva l’autore stesso), criticabile – nota Victor Brombert – per « le situazioni poco plausibili e le assurdità della trama » e in cui « pathos, sentimentalismo, magniloquenza ed effetti melodrammatici sono sfruttati senza nessun pudore » all’interno di « una struttura totalmente simbolica6 ».

5Del resto, quanto i romanzi di Hugo fossero determinanti per la drammaturgia di Boito lo si poteva vedere già nel riuso di situazioni e frasi di Notre-Dame de Paris soprattutto nel finale primo dell’Ero e Leandro (scritto nel 1871), tragedia lirica il cui tremendo antagonista, il sacerdote Ariofarne, è modellato su Frollo (benché Boito ne faccia un concentrato del male, eliminando tutti i contorcimenti morali dell’arcidiacono victorhughiano, come fece, del resto, con tutti i suoi cattivi)7. Significative anche le derivazioni dai Misérables, dal Grillo cogli imberbi saltimbanchi del Pier Luigi Farnese, chiaramente modellati su Gavroche e sui monelli parigini8, fino alla morte di Rubria nel Nerone, che ricorda quella di Eponine, senza dimenticare il celeberrimo Credo di Jago nell’Otello, ispirato al discorso che il senatore materialista, « qui avait fait son chemin avec une rectitude inattentive à toutes ces rencontres qui font obstacle et qu’on nomme conscience, foi jurée, justice, devoir » e « avait marché droit à son but et sans broncher une seule fois dans la ligne de son avancement et de son intérêt », fa al vescovo Myriel :

La vie, c’est tout. Que l’homme ait un autre, ailleurs, là-haut, là-bas, quelque part, je n’en crois pas un traître mot. Ah ! l’on me recommande le sacrifice et le renoncement, je dois prendre garde à tout ce que je fais, il faut que je me casse la tête sur le bien et le mal, sur le juste et l’injuste, sur le fas et le nefas. Pourquoi ? parce que j’aurai à rendre compte de mes actions. Quand ? après ma mort. Que bon rêve ! Après ma mort, bien fin qui me pincera. […] Dieu est une sornette monstre. […] Sacrifier la terre au paradis, c’est lâcher la proie pour l’ombre. Être dupe de l’infini ! pas si bête. Je suis néant. Je m’appelle monsieur le comte Néant, sénateur. Étais-je avant ma naissance ? Non. Serai-je après ma mort ? Non. Que suis-je ? un peu de poussière agrégée par un organisme. […] Non ; notre lendemain est de la nuit. Derrière la tombe, il n’y a plus que des néants égaux. Vous avez été Sardanapale, vous avez été Vincent de Paul, cela fait le même rien. Voilà le vrai9.

6Da cui le parole di Jago :

Dalla viltà d’un germe o d’un atòmo
vile son nato.
Son scellerato
perché son uomo ;
e sento il fango originario in me.
[…]
E credo l’uom gioco d’iniqua sorte
dal germe della culla
al verme dell’avel.
Vien dopo tanta irrisïon la Morte.
E poi ? – La Morte è il Nulla
e vecchia fola il Ciel
10.

7E non sfugga che quest’ultima frase era stata usata la prima volta nella stessa Gioconda, versione del 1879, in bocca al feroce Alvise Badoero, un altro tassello di narrativa victorhughiana utilizzato per l’originalissima riscrittura di Angelo, tyran de Padoue11.

8Più problematico, invece, il legame coi testi drammatici. Nella vecchiaia, scrivendo a Tito II Ricordi, Boito condannò apertamente Maria Tudor, « dramma ultraromantico », ricordando (negativamente) anche Torquemada12. La Tudor, peraltro, era stata ipotesto di un libretto di Emilio Praga per Antonio Carlos Gomez, una scrittura cui lo stesso Boito aveva collaborato13. Conoscendo il parere del Giuseppe Verdi maturo su questa tragedia e su altri lavori teatrali di Hugo, si potrebbe ipotizzare che Boito sia stato influenzato dall’opinione dell’ammirato maestro. Tuttavia, se l’anziano Verdi « diceva che Victor Hugo ingrossa troppo i suoi personaggi e che, esagerandoli, li rende non verosimili14 », è anche vero che « Arrigo Boito diceva, parlando dei drammi di Victor Hugo, che analizzandoli freddamente, possono sembrare inverosimili ma che, lasciandosi trasportare nel mondo creato dal poeta si può salire alle più alte vette dell’entusiasmo e trovarli sublimi15 ». Il giudizio, più che per la modalità d’approccio al teatro victorhughiano, è significativo per l’evocata trasposizione « nel mondo creato dal poeta », per il dichiarato cedere alla forza attrattiva della scrittura di Hugo. È chiaro che Boito parla non di spettacolo ma di fruizione individuale del testo drammatico, di lettura, come quella dei romanzi. E che questa lettura lo entusiasmasse enormemente lo dimostra il telegramma inviato al « Rappel », con preghiera di trasmetterlo a Hugo, il 22 febbraio 1874, a « 1 h. 55 soir » : stava leggendo, nella sua casa di Milano, il terzo volume di Quatrevingt-treize ma, giunto alla pagina 192, era corso al telegrafo per esprimere la sua ammirazione per il maître : « Je suis à page 192, troisième volume. Gloire ! ». In quella pagina è narrato l’arresto di Lantenac da parte di Cimourdain dopo il salvataggio dei tre bambini. E il giornale francese commentò : « Et nous trouvons que le poëte italien n’a pas mal placé son cri d’admiration16 ».

9Centrale è anche e soprattutto la lezione di Hugo sulla lingua, segnatamente per la battaglia per la libertà delle parole, « l’égalité du mot », per la quale Boito paragona Hugo a Shakespeare e trova viva conferma del magistero dantesco sul suono della poesia17. Lo scapigliato, che fu autore di due studi su altrettante opere victorhughiane assai apprezzati dallo stesso Hugo (in particolare, il terzo e ultimo capitolo del saggio sulle Chansons des rues et des bois, uscito nel 1865, è un elogio adorante del poeta in esilio)18, derivò il suo sofisticato stile di scrittura, soprattutto nelle prose giornalistiche, da quello del maestro, e questi non mancò di apprezzare apertamente i testi francesi del discepolo italiano. In una lettera del 19 novembre 1866, raccomandando Boito a Émile de Girardin, fondatore del periodico « La Liberté », Hugo lo definisce « un écrivain italien du premier ordre » nonché « un écrivain français excellent » : « Ce qu’il écrira sera supérieur ; je vous le garantis. Répondre du talent, c’est presque répondre du succès. Tous les généreux instincts de la liberté et du progrès sont dans M. A. Boïto19 ». Allo stesso Girardin scrisse, il 21 luglio 1867 : « Je suis certain qu’en M. Arrigo Boïto, poëte italien, vous eussiez très vite constaté et fait constater par tous un excellent écrivain français. Les italiens peuvent écrire en français avec supériorité20 ». Hugo riconosceva senz’altro nella scrittura del suo « disciple » una brillante declinazione del proprio stile. Non a caso Frank Walker, a proposito di una lettera di Boito al maestro francese, ha parlato di « stile magniloquente quasi più vittorughiano di quello dello stesso Hugo21 ».

10Stile, quello di Hugo, che influenzò notevolmente Boito anche per la produzione narrativa (basti ricordare il gusto per le descrizioni, per il periodare turgido, per il visionarismo, sia pur costretto nel respiro breve del genere novellistico) e per quella poetica (si pensi solo alle Foglie del Libro dei versi o a Contemplazione). Nell’album di Confessions di Vittoria Cima, compilato nel « Marzo 68 » poco dopo il fiasco del Mefistofele alla Scala, Boito indicò quali suoi poeti prediletti Dante, Shakespeare e Hugo (nonché eroe preferito, tra quelli di fantasia, Enjolras dei Misérables)22, e certo non poteva non ammirare e assimilare, da instancabile funambolo della forma, l’ardita musicalità della scrittura victorhughiana. Basti pensare, a voler fare un paragone alla buona, ad alcune magistrali accumulazioni negli stessi Misérables, come « Elle était sèche, rêche, revêche, pointue, épineuse, presque venimeuse23 » o « Je connais les trucs, les trocs, les trics et les tracs24 », oppure « Cet être braille, raille, gouaille, bataille25 », « nelle quali la plasticità e la musicalità prevalgono sulla semantica26 », quasi una legittimazione dello spiccato gusto di Boito per la paronomasia e l’allitterazione, che s’impenna fino ai virtuosistici miracoli del Falstaff (composto, come l’Otello, tenendo sott’occhio la traduzione shakespeariana di Hugo fils). Non stupisce, insomma, che nel 1880 si scriva che Boito « non legge quasi punti libri nuovi : Zola, Swinburne, e qualche altro per eccezione », e che i suoi libri « prediletti, quelli che legge e rilegge continuamente, che sa quasi a memoria, sono : Dante e Vittore Hugo. Poi Marco Aurelio, Orazio, e pochi altri antichi27 ».

11Ma Hugo, che « non solo diede coraggio, fede nella vita e nella giustizia ai giovani della “scapigliatura” milanese, ma li formò moralmente e socialmente », è anche « il poeta del Boito che da poco ha aperto il cuore e la mente alla poesia, alla letteratura, alla musica ; è l’eroe del Boito combattente per la causa d’Italia ; è l’incanto lirico, mitico, leggendario28 ». Ed è il protettore dei realisti29. In A Vittor Hugo, con sentimenti certo condivisi dall’amico, Emilio Praga scriveva :

Noi gli direm : siam nati ove trescavano
i despoti stranieri ;
e ci sentimmo intemerati e liberi
ne’ tuoi pensieri !

Noi gli diremo : abbiam sognato tanto,
cittadini del mondo, e al dubbio infitti
dell’avvenire ;
abbiam veduto agli alleluia accanto
gli infiniti sospir dei derelitti
a Dio salire ;

e una canzone di speranze impavide
ci ha volti al firmamento ;
e chi ci guida ancora in mezzo ai triboli
è il tuo concento
30 !

12Nel saggio sulle Chansons, Boito afferma che Hugo è « comme le mythe païen fils d’un géant, Shakespeare, et d’un nuage, la Révolution », e questa gli ha data « l’âme », quello « le mot » : « Victor Hugo fils de Shakespeare représente l’art moderne, Victor Hugo fils de la Révolution représente la pensée moderne31 ». E la Rivoluzione è « un nuage » che reca « la liberté, l’égalité, la fraternité, ces trois auréoles de notre siècle32 ». Arte e politica s’intrecciano anche nel carteggio Boito-Hugo, come nella lettera del 7 maggio 1866, in cui, poco prima di partire come volontario garibaldino, lo scapigliato scrive :

Votre nom est mêlé si glorieusement à notre cause qu’il est impossible […] de l’oublier aujourd’hui […] Un de vos synonymes est Liberté. Volontaire de Victor Hugo dans l’idée, volontaire de Garibaldi dans l’action, voilà mes deux élans envers l’art et envers la patrie.

13E in guerra va coll’« ananke » dei Travailleurs e di Notre-Dame in capo, attendendo una copia delle Feuilles d’automne inviatagli da Eugenia Litta33, inebriato sicuramente dai componimenti politici del maître, dagli Châtiments, « volume immense et terrible34 », alle adorate Contemplations, e memore delle pagine di William Shakespeare sul secolo xix, figlio della rivoluzione francese. Non stupisce affatto che, come s’è accennato, il suo eroe tra i personaggi di fantasia fosse Enjolras dei Misérables, un rivoluzionario pronto a immolarsi per i propri ideali, un modello da imitare nelle proprie battaglie artistiche. Ardente patriota, il rivoluzionario Boito, prima che volontario al fronte, fu un combattente per il progresso dell’arte : Enjolras, « un essere responsabile di quello che succede, uno che sceglie con totale lucidità una sconfitta che, senza dubbio, in seguito si trasformerà in trionfo35 », brandiva il fucile sulle barricate, Boito la penna nei luoghi della cultura36 e alla Scala nel 1868, « indifférent comme un invulnérable » al pari del giovane francese davanti alla morte37, si immola eroicamente sulla barricata dell’avvenire, in silenzio, imperturbabile, convinto della santità del proprio ideale (e dell’incompetenza del pubblico)38. L’identificazione con Enjolras emerge già nella sua recensione al Lion amoureux di François Ponsard apparsa nel 186639, nella quale usa la grafia « Buonaparte » in luogo di « Bonaparte », derivata da un significativo passo dei Misérables : « Aucun de ces jeunes gens n’articulait ce mot : l’Empereur. Jean Prouvaire seul disait quelquefois Napoléon ; tous les autres disaient Bonaparte. Enjolras prononçait Buonaparte40 », « comme des royalistes », dichiarando così la sua invincibile avversione per l’uomo che aveva tolta la libertà ai francesi : « Citoyen, lui dit Enjolras, ma mère, c’est la république », gelida pietra tombale sull’ardente discorso filonapoleonico di Marius41.

14Finanche lo spartiacque ideologico del 1871, l’anno della Comune, vede Boito, con Hugo, confermare, mutatis mutandis, la sua fede nella Révolution. Non si comprenderebbe altrimenti la succitata reazione alla lettura di Quatrevingt-treize, romanzo che glorifica il 1789 e la Convenzione, quel telegramma in cui, come s’è detto, si fa riferimento al momento in cui Cimourdain arresta il monarchico Lantenac, dopo che il rigido militare votato alla causa realista, finora spietato, ha rinunciato alla fuga per salvare tre bambini, immagine dell’avvenire, un gesto che introduce nella guerra civile la pietà, l’umanità, un’inattesa conversione (« colui che salva è salvato »)42. Né si comprenderebbe perché nel 1883, su una parete del salottino di casa Boito, ci fosse « una fotografia del Napoleone I di Meissonnier43 », un ritratto di Bonaparte (senza u, nume del salotto dell’amica Vittoria Cima), « despote, mais dictateur ; despote résultant d’une république et résumant une révolution44 », detestato da Enjolras ma ammirato da Marius, figura estremamente problematica per lo stesso Hugo (figlio di un generale napoleonico), che lo avversa in quanto tiranno ma non può negare che fu formidabile propagatore degli ideali della Rivoluzione in Europa (la terza fase dell’epoca rivoluzionaria, « la società imperialista » della recensione a Ponsard).

15Imbevuto di Révolution, Boito non fu però ‘socialista’, e non a caso, dopo i moti milanesi del 1898 – solo una conseguenza della propaganda socialista secondo molti, compreso Verdi che pure non era un conservatore e nel 1865 si era definito « liberale al massimo grado, senza essere un Rosso45 » –, il letterato-musicista scrisse a Bellaigue che lo stesso Verdi, ricordando il 1848, aveva assistito « à la bagarre » come « un vieux mâtin » che osserva dei « caniches enragés », aggiungendo di essere contento che i capi della rivolta, quasi tutti deputati (di sinistra), stessero meditando sulle difficoltà di una rivoluzione sociale chiusi nelle celle del Castello Sforzesco46. Artista elitario che rifuggiva dal giudizio del grosso pubblico e « lavora[va] per lui solo47 », Boito era invincibilmente restio a concepire, in arte e in politica, un potere basato sulla (minacciosa) forza dei numeri invece che sul giudizio dei migliori. Si pensi al « severo filosofo » progressista che parla alle « turbe », in Iberia, esortando a superare il « cieco istinto di sommissione verso i troni e verso la Chiesa » e che non riesce a terminare il suo discorso perché « la turba briaca » si getta « a capo chino, come il toro nell’anfiteatro, in una corsa furibonda e feroce », salendo con un « rosso demagogo » « alla devastazione dei troni » « colla bava dei torrenti alla bocca, armata di scuri e di pugnali », lasciando il filosofo « solo, mesto, deluso a fronte dell’Idea48 ». Anche dietro questi « ruvidi incontri » tra « il sognatore e la folla » e l’angoscioso rapporto colla violenza politica c’è, ça va sans dire, Hugo49. Nel 1870, guardando deluso finanche alla « gabbia Costituzione » che ammansa la « Repubblica » (maiuscola, al contrario di « reggia che è la gabbia del re »…), che è uno dei « risultati del progresso » (« l’ingabbiamento volontario di tutte le cose e di tutti gli animali, compreso l’uomo »), Boito puntava il dito, quasi anarchico, sulla riduzione della libertà in una civiltà che snatura imponendo « leggi da gabbia » in arte come in società : « da ciò ne deriveranno la tirannia, il pregiudizio, la convenzione, la rivolta, la lotta, la discordia50 ». Per l’avvenirista pessimista, perennemente dubbioso e col tempo sempre più assuefatto a uno status quo imperfetto ma sedativo, il cantato dualismo tra ideale-sogno e realtà-dolore fu tutt’altro che un mero dilemma di poetica. E le righe sui moti del 1898, coi ‘rossi demagoghi’ e la ‘turba furente’, lo dimostrano pienamente. Ancora Hugo : non più « légions sauvages » di « hommes hérissés, qui, dans les jours génésiaques du chaos révolutionnaire, déguenillés, hurlants, farouches, le casse-tête levé, la pique haute, se ruaient sur le vieux Paris bouleversé », non più « les barbares de la civilisation », ma neppure i peggiori « civilisés de la barbarie » che « insistent doucement pour le maintien et la conservation du passé » : « grâce au ciel, un autre choix est possible. Aucune chute à pic n’est nécessaire, pas plus en avant qu’en arrière. Ni despotisme, ni terrorisme. Nous voulons le progrès en pente douce51 ». Dopo la ripida « rivolta pazza » à la Enjolras, insomma, il progresso in lieve pendio, anche a costo di sembrare reazionario52.

16Gli esempi e i documenti qui proposti, sia pur in un’elencazione risicata e sommaria, credo restituiscano un’idea più giusta, rispetto all’episodicità indicata da Nardi, del peso che Hugo, « maestro dell’eccesso53 », ebbe nella poetica di Boito, e segnatamente per la sua drammaturgia per musica, ben oltre gli anni giovanili, ramificandosi fino all’Otello, al Falstaff e al Nerone. Il Boito maturo forse non si sarebbe abbandonato a vere e proprie dichiarazioni d’amore come questa del 29 novembre 1865 : « Je suis tout fier de Vous comprendre, toute mon intelligence vient de là », o quest’altra del 15 maggio dello stesso anno :

Votre idée se réverbère sur les blancheurs de l’âme et y fait jaillir des rayons ; elle a cela de commun avec l’idée du Christ et avec l’idée du Dante.
Il suffirait un seul de ces trois livres : l’Évangile, la Divine Comédie, les Contemplations pour que l’homme devînt juste.
Je n’admire pas seulement Votre poésie, je crois en elle.

17Ma l’eccitato visionarismo di Hugo, la sua ansia per il progresso, i suoi dualismi, il suo gusto per l’iperbole e per l’eccesso e il suo simbolismo, aggiornati decadentisticamente, restarono solide e indiscusse basi dell’arte di Boito fino alla fine. Se la passione ardente della giovinezza intiepidì, se le idee politiche mutarono fino a tentazioni molto moderate, l’antico scapigliato continuò ad agitarsi ancora, più e più volte, tra i fantasmi artistici del suo maître. Nella succitata lettera a Hugo del 29 novembre 1865, Boito concludeva, quasi profeticamente, con questa frase : « Mon âme revient toujours à Vous ». E firmava : « Votre humble disciple d’Italie / Arrigo Boito ».

Notes de bas de page numériques

1 Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1942, pp. 167-168.

2 Si tratta di poco più di una ventina di invii tra il 1864 e il 1874 ; Boito conservò le lettere di Hugo con particolare cura, facendone un elenco (l’epistolario boitiano è oggi nella Sezione Musicale della Biblioteca Palatina di Parma). Chi scrive sta lavorando all’edizione critica del carteggio, e ad essa fanno riferimento, in questo saggio, le citazioni delle lettere di Boito a Hugo, conseguentemente prive di indicazioni editoriali.

3 Remo Giazotto, « Hugo, Boito e gli “scapigliati” », L’approdo letterario, IV/3, 1958, pp. 37-38.

4 Edoardo Buroni, « Parallelismi letterari e musicali nel canone di Arrigo Boito », Otto/Novecento, 3, 2012, pp. 33-34.

5 Enrico Groppali, « Da Victor Hugo a Arrigo Boito », in La Gioconda. Dramma lirico in quattro atti. Libretto di Tobia Gorrio (Arrigo Boito). Musica di Amilcare Ponchielli, Milano, Edizioni del Teatro alla Scala, 1997, p. 110.

6 Victor Brombert, Victor Hugo e il romanzo visionario, Bologna, il Mulino, 1987, pp. 203-205. Cfr. Emanuele d’Angelo, « “Nessuno travederà alcuna idea del Giuramento” : l’Angelo di Hugo e il libretto della “Gioconda” », in Die Musik des Mörders. Les Romantiques et l’Opéra / I Romantici e l’Opera, sous la direction de / a cura di Camillo Faverzani, Lucca, Libreria Musicale Italiana, 2018, pp. 227-235.

7 Cfr. Ero e Leandro. Tragedia lirica in due atti di Arrigo Boito, a cura di Emanuele d’Angelo, Bari, Palomar, 2004, pp. 111, 124 e 151.

8 Cfr. Emanuele d’Angelo, Il Pier Luigi Farnese di Arrigo Boito. Con edizione critica del libretto, Roma, Aracne, 2014.

9 Victor Hugo, Les Misérables, I, 1, 8, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, pp. 72-73.

10 Arrigo Boito, Otello, ii.2, in Id., Tutti gli scritti, a cura di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942, p. 898.

11 Cfr. Arrigo Boito, La Gioconda, iii. 4, in Id., Tutti gli scritti, a cura di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942, p. 665 : « La morte è il nulla e vecchia fola è il ciel ! ».

12 Cfr. la lettera di Boito a Tito II Ricordi, s.d. (ma 1910 ca.), in Elisa Bosio, L’epistolario di Arrigo Boito, tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, s.d. [ma 2010], p. 1132: « Non perder tempo a leggere Marie Tudor; quel dramma ultraromantico riletto da me jeri, m’è parso, a 40 anni di distanza, stupido e ridicolissimo. La stessa metamorfosi avrà subita probabilmente anche il Torquemada ».

13 Il libretto dell’opera di Gomez, data alla Scala nel 1879, fu abbozzato da Praga e dallo stesso Boito e completato da Carlo d’Ormeville, Angelo Zanardini e Ferdinando Fontana. Cfr. Suggeritore, rec. a Maria Tudor [« La Farfalla », 30 marzo 1879], in La pubblicistica nel periodo della Scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario : 1860-1880, a cura di Giuseppe Farinelli, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1984, p. 375 : « Il libretto è attribuito […] ad Emilio Praga. Ma, per essere esatti, bisogna notare che Praga l’ha soltanto abbozzato, e che il Gomez lo fece ritoccare, anzi rimpastare dal D’Ormeville, dallo Zanardini ed anche dal Fontana ». La collaborazione di Boito, annunciata sulla « Gazzetta di Treviso » il 1° settembre 1874 (p. 3: « Notizie artistiche : – Il Maestro Gomez, l’autore del Guarany e del Salvatore Rosa sta compiendo una nuova opera “Maria Tudor”, su libretto dei giovani poeti milanesi Praga e Boito »), è documentata dalla lettera di Gomes a Eugenio Tornaghi del 23 giugno 1875, in Antonio Carlos Gomes. Carteggi italiani, raccolti e commentati da Gaspare Nello Vetro, Milano, Nuove Edizioni, 1977, p. 110: « ho trovato e stò trovando molta difficoltà nella forma del libretto della Maria Tudor e di ciò mi sono accorto nel musicarlo ! La maniera di fare, tanto di Praga, quanto di Boito, è strano e laconico in modo da imbarazzare il maestro più volentieroso ! ».

14 Italo Pizzi, Ricordi verdiani inediti. Con undici lettere di Giuseppe Verdi [1901], Firenze, LoGisma, 2013, p. 21.

15 Marcello Spaziani, Con Gégé Primoli nella Roma bizantina, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1962, p. 283.

16 Il telegramma è trascritto in « Le Rappel », 1461, 25 febbraio 1874, p. 2.

17 Cfr. Emanuele d’Angelo, Arrigo Boito drammaturgo per musica. Idee, visioni, forma e battaglie, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 212-214.

18 Cfr. Arrigo Boito, « Les chansons des rues et des bois » par Victor Hugo [« L’Italie », 19 e 20 novembre 1865], in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, pp. 347-360. L’altro saggio, « deux articles publiés dans la discussione des 11 et 12 juin » del 1864 stando a quanto scrive lo stesso Hugo, è probabilmente una recensione in due puntate del recentissimo William Shakespeare; purtroppo i numeri di giugno del quotidiano torinese « La Discussione. Piccolo Corriere d’Italia » risultano irreperibili.

19 Victor Hugo, Correspondance, 2. Années 1849-1866, Paris, Albin Michel, 1950, p. 564.

20 Victor Hugo, Correspondance, 3. Années 1867-1873, Paris, Albin Michel, 1952, p. 61.

21 Cfr. Arrigo Boito, Lettere inedite e poesie giovanili, a cura di Frank Walker, « Quaderni dell’Accademia Chigiana », XL, 1959, p. 14.

22 La pagina è riprodotta in una tavola fuori testo tra le pp. 276 e 277 di Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1942. Escludo che possa essere stata compilata prima della messinscena del 5 marzo, perché è improbabile che nei quattro giorni precedenti la première Boito, totalmente assorbito dall’allestimento, abbia avuti modo e voglia di dedicarsi a tali passatempi.

23 Victor Hugo, Les Misérables, I, 5, 8, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, p. 174.

24 Victor Hugo, Les Misérables, II, 8, 7, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, p. 419.

25 Victor Hugo, Les Misérables, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, III, 1, 3, p. 433.

26 Mario Vargas Llosa, La tentazione dell’impossibile. Victor Hugo e « I Miserabili », a cura di Antonella Ciabatti, Milano, Libri Scheiwiller, 2011, p. 31.

27 Grisantema, Profili. Due poeti. Arrigo Boito. Felice Cavallotti [« Gazzetta letteraria », 6-13 marzo 1880], in La pubblicistica nel periodo della Scapigliatura. Regesto per soggetti dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario : 1860-1880, a cura di Giuseppe Farinelli, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1984, p. 482.

28 Remo Giazotto, « Hugo, Boito e gli “scapigliati” », L’approdo letterario, IV/3, 1958, p. 34.

29 Mi riferisco alla celebre lettera a Praga del 16 aprile 1866, in cui Boito, dando credito a una notizia infondata, piange la morte di Baudelaire : « Il Realismo muore, fratello, muore nella doppia morte dell’anima e del corpo. I realisti agonizzano senza prete al capezzale, e sopravvivranno senza gloria. / Praga come stai ? / Tastiamoci il polso vicendevolmente e, se batte ancora, Dio e Vittor Hugo ci ajutino ! » (facsimile in Carlo Gatti, « Arrigo Boito e il Nerone », L’illustrazione italiana, LI/18, 1924, p. 558).

30 Emilio Praga, A Vittor Hugo, 41-50, in Id., Opere, a cura di Gabriele Catalano, Napoli, Casa Editrice Fulvio Rossi, 1969, p. 307.

31 Arrigo Boito, « Les chansons des rues et des bois » par Victor Hugo [« L’Italie », 19 e 20 novembre 1865], in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, p. 348.

32 Arrigo Boito, « Les chansons des rues et des bois » par Victor Hugo [« L’Italie », 19 e 20 novembre 1865], in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, p. 358.

33 Cfr. la lettera di Boito alla Litta del 29 giugno 1866, in Elisa Bosio, L’epistolario di Arrigo Boito, tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, s.d. [ma 2010], p. 67.

34 Arrigo Boito, « Les chansons des rues et des bois » par Victor Hugo [« L’Italie », 19 e 20 novembre 1865], in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, p. 357.

35 Mario Vargas Llosa, La tentazione dell’impossibile. Victor Hugo e « I Miserabili », a cura di Antonella Ciabatti, Milano, Libri Scheiwiller, 2011, p. 71.

36 Cfr. Benedetto Prina, Saggio critico sulla letteratura lombarda, Firenze, Tipografia Cenniniana, 1871, p. 31 : « sugli ultimi scanni della sinistra [di un ideale parlamento della repubblica letteraria] seggono, baldi di giovinezza e di speranze, gli irreconciliabili dell’arte, i poeti dell’avvenire, che fantasticano coi pensieri di Fausto e che nei pacifici dominii della letteratura vorrebbero operare una rivoluzione dell’ottantanove » (sui « poeti dell’avvenire » cfr. ivi, p. 29 : « Più tardi venne di moda […] una scuola, che assunse il nome poco modesto di scuola dell’avvenire, e che è rappresentata da giovani ingegni, come Arrigo Boito, il Praga, il Ghislanzoni ed altri »).

37 Victor Hugo, Les Misérables, V, 1, 23, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, p. 870.

38 Cfr. Emanuele d’Angelo, Rivolta pazza, intr. ad Arrigo Boito, Il primo Mefistofele, a cura di Emanuele d’Angelo, Venezia, Marsilio, 2013, pp. 35-49.

39 Arrigo Boito, Rivista drammatica [« Il Politecnico », aprile 1866], in Id., Tutti gli scritti, a cura di Piero Nardi, Milano, Mondadori, 1942, pp. 1187-1191.

40 Victor Hugo, Les Misérables, III, 4, 3, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, p. 492.

41 Cfr. Victor Hugo, Les Misérables, III, 4, 5, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, pp. 497-499.

42 Cfr. Victor Brombert, Victor Hugo e il romanzo visionario, Bologna, il Mulino, 1987, p. 265. Si veda anche Sergio Luzzatto, Ombre rosse. Il romanzo della Rivoluzione francese nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2004, pp. 153-176.

43 Giovanni Gavazzi Spech, « Arrigo Boito », in Id., È in casa ?… (Le visite di John), Roma, Sommaruga, 1884, p. 14.

44 Victor Hugo, Les Misérables, III, 3, 6, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, p. 472.

45 Cfr. Carteggio Verdi-Morosini. 1842-1901, a cura di Pietro Montorfani, Parma, Istituto nazionale di studi verdiani, 2013, pp. 269-270; Frank Walker, L’uomo Verdi, Milano, Mursia, 1964, p. 313. La preoccupazione di Boito per le conseguenze della propaganda socialista è registrata anche nell’Imperio dell’amico De Roberto, in cui il Giove del salotto Cima incoraggia le conferenze antisocialiste di Consalvo : « È bene opporre propaganda a propaganda » (cfr. Federico De Roberto, L’Imperio, a cura di Nunzio Zago, Milano, Rizzoli, 20174, pp. 205-206).

46 Cfr. la lettera del 19 maggio 1898, in Elisa Bosio, L’epistolario di Arrigo Boito, tesi di dottorato, Università degli Studi di Padova, s.d. [ma 2010], p. 720.

47 Cfr. Giovanni Gavazzi Spech, « Arrigo Boito », in Id., È in casa?… (Le visite di John), Roma, Sommaruga, 1884, p. 17 : « Il suo rispetto per l’arte è tale, che al solo pensiero di avere terzo il pubblico tra esso e il suo genio, lo inquieta, e molto spesso lo travia nel calmo giudizio ».

48 Arrigo Boito, Iberia, in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, p. 198.

49 Cfr. Victor Brombert, Victor Hugo e il romanzo visionario, Bologna, il Mulino, 1987, pp. 268-273.

50 Arrigo Boito, La musica in piazza, in Id., Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2001, p. 200.

51 Victor Hugo, Les Misérables, IV, 1, 5, in Id., Œuvres complètes, édition chronologique publiée sous la direction de J. Massin, XI, Paris, Le Club français du livre, 1969, pp. 615-616.

52 Sulle idee politiche di Boito e l’influenza di Hugo si è qui riassunto quanto ho più ampiamente trattato in Emanuele d’Angelo, « I furori del giovane Boito, un Enjolras italiano tra rivolta pazza e rivoluzione francese », in « Ecco il mondo » : Arrigo Boito, il futuro nel passato e il passato nel futuro, a cura di Maria Ida Biggi, Emanuele d’Angelo e Michele Girardi, Venezia, Marsilio, 2019, pp. 293-308.

53 La felice definizione si legge in Umberto Eco, « Victor Hugo e la vertigine del racconto » [2010], in Victor Hugo, Napoleone il piccolo, con un saggio di Enrico Di Rienzo, Firenze, goWare, 2017, pp. 256-260.

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Pour citer cet article

Emanuele d’Angelo, « Boito “fidèle disciple” di Hugo », paru dans Loxias-Colloques, 17. Arrigo Boito cent ans après, Boito “fidèle disciple” di Hugo, mis en ligne le 28 juillet 2020, URL : http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1663.


Auteurs

Emanuele d’Angelo

Emanuele d’Angelo, dottore di ricerca in italianistica, insegna all’Accademia di Belle Arti di Bari. Librettologo e specialista del teatro di Arrigo Boito, ha pubblicato, tra l’altro, la monografia Arrigo Boito drammaturgo per musica. Idee, visioni, forma e battaglie (Venezia, Marsilio, 2010) e le edizioni critiche dell’Ero e Leandro (Bari, Palomar, 2004), del primo Mefistofele (Venezia, Marsilio, 2013) e del Pier Luigi Farnese (Roma, Aracne, 2014). È membro del Comitato nazionale per le celebrazioni del centenario della scomparsa di Arrigo Boito (1918-2018). Per i suoi studi sui libretti il Teatro La Fenice di Venezia gli ha conferito, nel 2014, il Premio Arthur Rubinstein.