Loxias-Colloques |  17. Arrigo Boito cent ans après 

Matteo Grassano  : 

« Ubbie frivole e fantastiche ». Appunti linguistici su una lettera di Arrigo Boito

Résumé

Cet article propose une analyse historico-linguistique de l’écrit polémique d’Arrigo Boito A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi, publié dans le journal Il Pungolo le 21 mai 1868 et adressé au ministre Emilio Broglio. Après avoir contextualisé la lettre, l’étude montre de manière ponctuelle que la caricature de la politique linguistique du ministre révèle non seulement la distance qui sépare Boito de la théorie de l’usage d’Alessandro Manzoni, mais aussi certains malentendus. Ensuite, l’article souligne les raisons socioculturelles de l’« antifiorentinisme » boitien : la lettre de l’écrivain scapigliato apparaît finalement comme révélatrice d’un « antimanzonisme » qui, au-delà de l’intolérance personnelle, s’élève de plusieurs côtés au cours de ces années contre une politique linguistique perçue comme imposée d’en haut, autoritaire et contraire aux besoins réels du pays.

Abstract

The paper proposes a historical-linguistic analysis of Arrigo Boito’s controversial letter A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi, published in Il Pungolo on May 21, 1868 and addressed to the Minister Emilio Broglio. This study contextualizes the letter and shows that the caricature of Broglio’s linguistic policy reveals not only Boito’s distance from Alessandro Manzoni’s theory of use, but also some misunderstandings. Then, the paper explores and underlines the socio-cultural reasons of Boito’s “antifiorentinism”. Eventually, the letter appears to be a significant example of “antimanzonism”: a position which, beyond the writer’s personal intolerance, arose in those years against a linguistic policy perceived as imposed by force, overbearing and inadequate to the real needs of the country.

Riassunto

L’articolo propone un’analisi storico-linguistica dello scritto polemico di Arrigo Boito A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi, apparso su Il Pungolo il 21 maggio 1868 e rivolto al Ministro Emilio Broglio. Dopo aver contestualizzato la lettera, si mostra che la caricatura linguistica del fiorentinismo di Broglio rivela, a uno studio puntuale, non solo la distanza di Boito dalla teoria dell’uso di Alessandro Manzoni, ma anche alcune incomprensioni. Si sottolineano allora le ragioni socio-culturali dell’antifiorentinismo boitiano. L’intervento dello scrittore scapigliato appare in ultimo espressione significativa di un antimanzonismo che, al di là delle insofferenze personali, si levò da più parti in quegli anni contro una politica linguistica percepita come imposta dall’alto, prepotente e contraria alle reali esigenze del Paese.

Index

Mots-clés : Boito (Arrigo) , Broglio, langue, Manzoni

Palabras claves : Boito , Broglio, Manzoni, questione della lingua

Texte intégral

La vicenda del rapporto tra Boito e Manzoni può dirsi così accertata nei suoi momenti rilevanti e chiaramente leggibile nella sua linea di sviluppo, anche per tentare un confronto con gli altri Scapigliati, ma non è facile individuare una cifra riassuntiva : la formula ‘ammirazione travagliata’ mi pare che dia ragione sia del debito che Boito ebbe con Manzoni, sia dei limiti e delle incertezze della sua fruizione. Si confrontò negli anni giovanili con il Manzoni lirico per la suggestione esercitata dalle poesie civili e dagli Inni sacri, in ciò che avevano di nuovo e di grande rispetto alla tradizione della lirica italiana : e gli rimase da allora per sempre l’ammirazione per il vecchio venerando. Oltre non volle o non poté andare, perché da quel punto in avanti la lezione manzoniana portava verso la storia e il romanzo, sempre, ben s’intende, sulla base di un’accettazione totale della fede1.

Così Paolo Paolini sintetizzava nel 1978 i risultati del suo studio sul difficile rapporto di Arrigo Boito con l’opera e la figura di Alessandro Manzoni, mettendone in evidenza il carattere non rettilineo, complesso e combattuto all’insegna di un’« ammirazione travagliata2 ». Rilevata l’influenza delle poesie e delle tragedie manzoniane, il critico sottolineava per opposizione la distanza della produzione di Boito dalla lezione dei Promessi Sposi. Con il romanzo, rimanevano di conseguenza in secondo piano le novità di quella lingua a cui lo scrittore lombardo aveva affidato, nella Quarantana, l’esempio concreto del suo modello linguistico.

Pur aprendosi a livello sintattico a strutture più libere e fluide, sensibili all’influsso del parlato3, la lingua di Boito, in verso e in prosa, si muove infatti in una direzione diversa, spesso contraria, a quella del romanzo manzoniano, sostenuta dal gusto per « un impasto linguistico selezionato ed elaborato4 ». Prima ancora che dalle analisi linguistiche, l’avversione boitiana alla scuola fiorentinista è del resto pienamente espressa dal noto5 testo A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi, apparsa su Il Pungolo il 21 maggio 1868 : a due mesi dalla pubblicazione della relazione di Manzoni Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, Boito si scagliò in maniera dura e sarcastica contro le idee linguistiche dell’allora Ministro Emilio Broglio e inserì così la sua voce nel « polverone6 » sollevato dal testo di Manzoni7. Il presente contributo si concentrerà su questa lettera boitiana, che appare significativa sia per inquadrare, almeno a quell’altezza cronologica, la posizione linguistica del suo autore, sia per evidenziare una distanza dalla teoria manzoniana dell’uso che, come emergerà dalla disamina, non vive solo di una differente visione della lingua, ma anche di alcuni fraintendimenti e di alcune incomprensioni.

Occorre premettere che l’attacco mosso al Ministro si sviluppa lungo l’asse tanto della critica linguistica, quanto di quella musicale. Nel 1868 Broglio propose un disegno di legge per riformare il sistema dei Conservatori (e alleggerire le casse dello Stato), causando in tal modo una protesta in tutta la Penisola. Nel tentativo di condurre in porto la riforma, il Ministro tentò di coinvolgere e di ottenere l’appoggio di Gioachino Rossini, inviandogli una lettera, abbastanza incauta, in data 29 marzo 1868 ; incauta poiché, invitando il Maestro ad assumere la presidenza di una Società Rossiniana che sarebbe dovuta servire a risollevare lo stato della musica in Italia, da un lato il Ministro dichiarava la propria ignoranza in materia musicale e dall’altro lato diceva in modo categorico che, nei quarant’anni precedenti, non c’erano state in Italia opere di valore8. Proprio a questo passo della lettera a Rossini si riferì due mesi dopo Giuseppe Verdi, rifiutando e restituendo il diploma di “Commendatore dell’Ordine della Corona d’Italia” che gli era stato inviato9. È dunque in quei giorni di polemica intorno alla riforma dei Conservatori promossa dal Ministro che fu pubblicata la lettera di Boito.

Allo stesso tempo, l’attacco dello scrittore scapigliato prende fin dalle prime righe la forma di una vera e propria polemica contro le posizioni linguistiche di Broglio. Come è noto, uno dei primi provvedimenti del Ministero di quest’ultimo fu quello di istituire, il 14 gennaio 1868, una commissione parlamentare, presieduta da Manzoni, con l’incarico di occuparsi della annosa questione dell’unità linguistica italiana. Di fatto, la commissione fu divisa in due sezioni : la parte milanese, con Bonghi e Carcano sotto la presidenza di Manzoni, e la parte fiorentina, con Tommaseo, Bertoldi e Mauri, e più tardi Capponi, sotto la vicepresidenza di Lambruschini10. Manzoni, che era allora ottantatreenne, si mise subito all’opera e, con il sostegno dei due collaboratori, presentò pochi mesi dopo al Ministro la relazione Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, che fu pubblicata nel marzo del 186811. Nel suo scritto Manzoni diede nuovamente forma, e con più risonanza, a quella teoria linguistica dell’uso che lui stesso aveva elaborato e abbracciato molti decenni prima, fin dalla correzione della Ventisettana. In sintesi, dal momento che solo una lingua viva, realmente parlata da una comunità, può costituire un modello, Manzoni suggeriva di guardare, per ragioni propriamente storico-linguistiche, al fiorentino contemporaneo. È chiaro che tale soluzione metteva in secondo piano l’autorità degli autori antichi, oltre a limitare il campo di azione di filologi e lessicografi in materia di lingua. La sezione fiorentina della commissione, che faceva riferimento alle posizioni più compromissorie dell’Accademia della Crusca, si trovò infatti in disaccordo e rispose con una controrelazione, apparsa nel fascicolo di maggio della Nuova Antologia, che, se apparentemente accettava le conclusioni manzoniane, poneva in realtà vincoli ed eccezioni tali da minarne la sostanza12.

Nella lettera di Boito non è però l’autore dei Promessi Sposi a essere messo direttamente alla berlina, ma il Ministro dell’Istruzione. Sulle posizioni manzoniane di quest’ultimo è sufficiente rileggere la sua Lettera a Ruggero Bonghi, premessa a mo’ di prefazione al terzo volume del Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, il cosiddetto Giorgini-Broglio : dopo aver ripercorso le tappe che, lette le relazioni di Manzoni e di Lambruschini, lo hanno portato a istituire una commissione per la stesura di un nuovo vocabolario, Broglio risponde alle critiche mossegli da Giuseppe Rigutini nel Vocabolario della lingua parlata attraverso una serie di argomentazioni che si allineano – o così vorrebbero – alle riflessioni manzoniane.

Non sorprende allora che, nel polemizzare con il Ministro, l’ironia di Boito faccia ricorso, nella lettera del 1868, a un uso caricaturale di vocaboli e di modi di dire tosco-fiorentini. Si consideri qui di seguito l’incipit del testo :

Vostra Eccellenza, naturalmente, non se ne ricorderà, ma io ebbi l’onore e il piacere d’incontrarla13, anzi di combinarla (come usano i nostri maestri Toscani) altra volta. E fu nell’autunno del sessantasei, sul monte Bisbino, in una gita cogli asinelli.
Dico questo per diminuire la sorpresa che la Eccellenza Vostra proverà nel leggere questa mia, ecc. ecc.
Se V. E. si riducesse a memoria i particolari di quell’allegra scorrazzata in montagna, vedrebbe quanto sieno ancora vive ed esatte le reminiscenze ch’io ne serbo. La nostra brigata si componeva di signore e signori, tutta gente assai per bene, che s’era alzata di buon mattino allo scopo di salire il monte che sta dietro Cernobbio e far colezione sull’erba in mezzo le nuvole. Nell’andata l’appetito fu grande, se V. E. se ne rammenta, e tale che a ciascuno di noi sarebbe venuta meno l’ilarità se
non fosse stato un certo famoso cappelletto che V. E. portava sugli occhi per amor del sole, e che ci muoveva a riso continuamente. Questo cappelletto era di sughero o, meglio, di sugura (come dicono i buoni villici in su quel di Firenze) e per la materia di cui era costrutto pareva un tappo da bottiglia e per la foggia in cui era tagliato pareva una vera catinella arrovesciata. Oh ! V. E. non saprà mai le segrete risate e i bei motti e le celie e i calemborghi (voce approvata dalla Crusca) che si fecero intorno a quel graziosissimo copertojo da testa che V. E. portava con tanta serietà. S’Ella lo possiede ancora le faccio ardentissima istanza perché la lo conservi alla religiosa ammirazione de’ posteri. Mi ricorda, inoltre, che V. E. indossava in quella mattina una guarnacca bianca di così antico bucato che pendeva in giallognolo ; a volernela lavare e’ si sarebbe perduto il ranno ed il sapone come dice quel modo fiorentino ch’Ella sa.
Ma le risate furono anche più matte quando ad uno svolto della montagna l’asinello cavalcato da V. E.
incespicò e tombolò col cavaliere tanto malamente, che V. E. risicò di pigliarsi una fiera torturatona sulla ghigna, come usano dire con bel vezzo i vaghi parlatori del contado toscano. Fu allora che tutti noi milanesi che vedemmo il caso, sclamammo ingenuamente, con molta opportunità, la eletta frase fiorentina : ci casca l’asino ! e fu allora che all’udire la eletta frase sulle labbra ambrosiane, il futuro ministro dell’istruzione pubblica ideò per la prima volta quell’antico concetto linguistico che venne promulgato in questi giorni, con molta edificazione di tutti gl’italiani. Oh ! com’era dilettosa quella gita al Bisbino ! A chi m’avesse detto quella mattina : « Vedi ; quel messere là dal cappelletto di sughero doventerà grande ministro » avrei risposto con un altro classico modo fiorentino : Che ! Che ! ti nasca il vermo cane ! tanto (Dio mel perdoni) ero lontano dall’immaginarmi un cosifatto miracolo14.

È evidente che Boito gioca sulla commistione tra registri linguistici diversi, sulla frizione tra la lingua letteraria e gli idiotismi fiorentini o, più generalmente, toscani. In questo modo ridicolizza il Ministro, dandogli dell’asino15.

Il tono e lo stile si mantengono simili anche nella parte successiva e più consistente della lettera, dedicata alla riforma musicale. Come si può notare nello stralcio citato, i termini tosco-fiorentini attraverso cui si fa il verso al Ministro sono di norma riprodotti in corsivo e a volte glossati per sottolinearne la toscanità (« come usano i nostri maestri Toscani », « come dicono i buoni villici in sul quel di Firenze », « come dice quel modo fiorentino ch’Ella sa », « come usano dire con bel vezzo i vaghi parlatori del contado toscano », « la eletta frase fiorentina » o ancora « un altro classico modo fiorentino16 »). Nel corso della lettera troviamo così evidenziate, dal corsivo o dalle note che le accompagnano, forme quali arri*17, combinarsi*18, cuculiare*19, daddovero20, doventare*21, fisima*22, torturatona sulla ghigna*23, guarnacca24, incespicare*25, manfanile della polenda e manfanilare26, manicatore27, raccapezzare*28, sguarguatare29, sor*30, sugura31. È poi interessante il ricorso a espressioni fraseologiche32, come cascar l’asino*33, non conoscere il baccello de’ paternostri34, il bisognino fa trottar la vecchia*35, perdere il ranno e il sapone*36, vendere ruta per finocchio37, nascere il vermo cane38.

L’asterisco che nei due elenchi segue alcune espressioni segnala la loro presenza nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, voluto dal Ministro e redatto da Giambattista Giorgini, genero di Manzoni, e da altri collaboratori sulla base della teoria dell’uso39. L’attestazione di buona parte dei termini non stupisce, dal momento che l’intento di Boito era appunto quello di attaccare la posizione fiorentineggiante di Broglio. Risulta invece più proficua l’analisi dei termini non reperibili in questo vocabolario.

Innanzitutto, pur essendo in origine popolari, alcune espressioni impiegate da Boito dànno l’impressione di essere ormai esclusivamente libresche o storiche nell’Ottocento. Si pensi a una parola come guarnacca, attestata nel Convivio dantesco, o a un verbo come sguarguatare, variante di sguaraguatare, già entrata nella seconda edizione della Crusca con esempio di Franco Sacchetti40. Sempre con rimandi a Sacchetti, nella quarta edizione della Crusca si trovano i modi di dire distinguere il baccello da’ paternostri41 e nascere il vermo cane42. Non essendo documentate in altri vocabolari del tempo aperti all’uso vivo43, è lecito pensare che proprio la Crusca, insieme ai testi della tradizione, fossero ormai nell’Ottocento gli unici canali di diffusione di queste formule. Emerge allora una prima ambiguità nella critica di Boito al manzonismo del Ministro, dal momento che l’autore non sembra aver chiara la differenza tra la teoria dell’uso e le idee sostenute dall’Accademia della Crusca (una differenza che si rifletté nella discrepanza di visione tra la sezione milanese della commissione per l’unità della lingua e quella fiorentina). Lo conferma un passo della lettera : laddove Boito utilizza provocatoriamente la parola calemborghi, glossa in maniera ironica « voce approvata dalla Crusca », come se dovesse esserci un legame diretto tra la posizione manzoniana e quelle cruscanti.

Boito utilizza inoltre alcune espressioni che provengono, come lui stesso dichiara in un’occasione (« come dicono in su quel di Pistoja per significare ciò che noi chiamiamo la mescola della polenta »), dal linguaggio coevo del contado toscano e che non rispecchiano la parlata del ceto cittadino fiorentino. Si tratta di espressioni quali manfanile della polenda, torturatona sulla ghigna, sugura e vendere ruta per finocchio. Un’analisi più approfondita mostra che l’autore trae le voci dal volume Canti popolari toscani di Giuseppe Tigri, pubblicato nel 1856, avvalendosi a volte delle note dello stesso curatore. Qui di seguito si riportano le forme usate da Boito, alcune veri e propri hapax, affiancate ai passi che ne costituiscono sicuramente la fonte44 :

1) manfanile della polenda : « Volevo ripienar un po’ di panno / Di roccatelle che già l’avo file, / Ma veggo propio che sarebbe un danno, / Con un ripien che pare un manfanile45 ». In nota Tigri scrive : « Manfanile, il mestone della polenda ».

2) torturatona sulla ghigna : « E al primo ghignalfone che si affaccia, / Una torturatona sulla ghigna, / Che si sentirà un po’ come li piaccia, / E si vedrà se alla suonata svigna46 ». In nota Tigri scrive : « Una torturatona sulla ghigna, una bastonata sul viso ».

3) sugura : » Arrieto come ! appena ch’ella miugura, / Che te lo fa ciuir come una sugura47 ». In nota Tigri scrive : « Com’una sugura, con quel rumore che fa il sughero a bucarlo col succhiello ».

4) vendere ruta per finocchio : » Guarda non t’intravvenga come a me, / Che m’han venduto ruta per finocchio : / E ruta per finocchio m’han venduto, / A te lo dico, e a me m’è intravvenuto : / E ruta per finocchio mi venderno, / A te lo dico, e a me già me lo ferno48 ». In nota Tigri scrive : « M’han venduto ruta per finocchio, cioè m’è toccato l’amaro per il dolce ».

Giuseppe Tigri (1806-1882) fu sacerdote, insegnante e letterato che, anche linguisticamente, rimase sempre legato alla sua origine pistoiese. Come altri toscanisti, Tigri guardò con interesse, in parte guidato da uno spirito purista, alla lingua della campagna toscana49 :

Recherà forse non piccol diletto ai filologi il vedere in questo libro quanta parte della lingua, e perfino della poesia del trecento, viva ancora nella sua primitiva freschezza sulla bocca de’ nostri campagnoli. Chè sebbene l’italico idioma col finire del secolo decimoquarto perdesse di pregio negli scritti, pure il popol nostro serbò vergine la favella, come lo mostrano le sue scritture, e certe sue tradizionali storie e canzoni, e quel suo sempre parlar vivo e naturale che, ricevuto da’ padri suoi (retaggio unico forse a tante invasioni sottratto), alle nuove generazioni religiosamente conservò e trasfuse50.

L’uso di parole provenienti dal contado, nel caso specifico pistoiese perché tratte dal volume di Tigri, evidenzia un’altra ambiguità nella critica rivolta da Boito alle posizioni brogliane. Manzoni indicò sempre, infatti, il fiorentino parlato quale modello linguistico ; erano, invece, facendo le opportune distinzioni, i puristi e neo-toscanisti ottocenteschi a scandagliare il linguaggio della campagna alla ricerca dei fiori di lingua, nella convinzione che la parlata dei contadini fosse meno corrotta di quella cittadina.

Tale criticità risulta inoltre da alcuni passaggi del testo del 1868. Trattando della succitata lettera del Ministro a Rossini, Boito scrive : « [...] nella qual lettera, fra le altre rarità, ognuno può leggere una voce registrata nel vocabolario dei modi errati51, cioè la parola amatore per dilettante, francesismo piacevolissimo scritto da un ministro d’Istruzione publica, italiano, che la pretende a purista52 ». Come si vede, Boito assimila frettolosamente la posizione linguistica del Ministro a quella purista. In realtà, la teoria dell’uso non prevedeva nessun ostracismo nei confronti di neologismi e forestierismi ormai entrati nell’uso. Nel caso specifico la parola amatore è presente nel Giorgini-Broglio. A conferma della lontananza di Broglio dal fronte purista, si consideri quanto si legge nella citata Lettera a Ruggero Bonghi :

I neologismi, invece di bandirli e scomunicarli a priori, soltanto perchè forestieri, bisogna guardarli bene in viso, come fanno, appunto coi forestieri, le guardie alle porte della città, ed esaminare perchè vengono, e se hanno ragione di venire : se l’hanno, lasciarli passare senz’altro ; se non l’hanno, opporsi al loro ingresso e resistere come si può ; ma poi, se malgrado la resistenza e l’opposizione, gli riesce d’entrare, e vanno a mescolarsi al resto della cittadinanza, ossia, fuori di metafora, doventano anche loro parte dell’Uso, allora bisogna riconoscerli per lingua bell’e bona53.

Avvicinandoci alla conclusione, si potrà sostenere che i rilievi evidenziati dimostrino le incertezze e le incomprensioni celate dietro la parodia linguistica esercitata da Boito ai danni del Ministro dell’Istruzione. Il quadro rimane di fatto inalterato, anche se si considerano la breve distanza che separa la relazione Sull’unità della lingua dalla lettera su Il Pungolo e l’irrigidimento retorico che caratterizzò la scuola manzoniana e da cui non fu esente lo stesso Broglio54.

Tuttavia, non bisogna correre il rischio di liquidare il testo boitiano come un tentativo mal riuscito di confrontarsi con la teoria fiorentinista di Manzoni55 e di prendere così parte alla questione della lingua. L’analisi qui proposta fa emergere piuttosto, nell’incomprensione, una sorta di disinteresse di Boito verso dibattiti linguistici che dovevano apparirgli accademici e lontani dalle sue esigenze artistiche, se non completamente inutili.

L’antifiorentinismo boitiano è però reale e, per essere compreso, deve allora essere ricondotto all’atteggiamento di Boito artista. A questo proposito risulta fondamentale il seguente passaggio della lettera del 1868 :

A mio giudizio V. E. dovrebbe attendere semplicemente alla istruzione elementare, alla grande e modesta educazione primaria del popolo. Dovrebbe occuparsi un po’ più degli analfabeti e meno, giacché meglio non sa, degli artisti. Dovrebbe far distribuire alla povera gente abecedari chiari assai e libri ancor più chiari, gli uni per insegnare a leggere, gli altri per insegnare a pensare ; dal pensiero buono e netto viene la parola buona e netta ; non tutti parleranno il toscano, per grazia di Dio ! meglio pensar bene in milanese che ciarlar male in fiorentino. Tutte le idee di V. E. intorno alla lingua e alla musica, le sono ubbie frivole e fantastiche56.

Ciò che conta è notare che Boito non si cala mai nei panni dello studioso, ma mantiene la propria veste di artista ; scrive e critica da poeta, librettista e musicista che si sente offeso nella sua dignità, nel suo ruolo di “operaio della cultura”, nella sua libertà, anche linguistica, di creare e produrre sapere. Forzando nell’interpretazione la volontà di Broglio, Boito non accetta che un Ministro, un politico, un non addetto ai lavori sentenzi sulla lingua da usare, insegnando a un artista a svolgere il proprio mestiere. Il Ministro dovrebbe dunque occuparsi unicamente degli analfabeti, scrive, fornendo adeguati strumenti per imparare a leggere e a sviluppare un pensiero « buono e netto », e non imporre che tutti parlino fiorentino.

In conclusione, pur essendo scientificamente debole, la reazione boitiana diventa nella sua precocità molto significativa di un antimanzonismo che, al di là delle insofferenze personali, si levò da più parti in quegli anni contro una politica linguistica percepita come imposta dall’alto, prepotente e contraria alle reali esigenze del Paese. Nella lettera di Boito, così sarcastica e dura, « campioncino caratteristico di prosa satirica57 » del giornalismo ottocentesco, si respira in fondo quello stesso orgoglio di intellettuale ferito che, qualche anno dopo e con altro spessore, il genio di Graziadio Isaia Ascoli avrebbe trasformato in una critica solida e scientifica alla teoria manzoniana dell’uso. Nel « Proemio » all’Archivio Glottologico Italiano del 1873, Ascoli sostenne infatti che, considerata la storia dell’Italia, l’unità linguistica non potesse essere raggiunta attraverso l’imposizione forzata di un modello municipale – fosse anche quello fiorentino –, ma che occorresse, invece, adoperarsi per una maggiore diffusione della cultura e per lo sviluppo di una « salda unità intellettuale e civile58 » della nazione.

Notes de bas de page numériques

1 Paolo Paolini, « Arrigo Boito e Manzoni : un’ammirazione travagliata », in Renzo Negri (dir.), Il Vegliardo e gli Antecristi. Studi su Manzoni e la Scapigliatura, Milano, Vita e Pensiero, 1978, p. 127.

2 La formula è stata ripresa, citata e condivisa anche da critici recenti dell’opera boitiana. Si veda, per esempio, Edoardo Buroni, « La critica su Arrigo Boito, letterato e musicista. Proposta per una rassegna bibliografica », Studi sul Settecento e l’Ottocento, VI (2011), pp. 113-155.

3 Cfr. Massimo Arcangeli, La scapigliatura poetica milanese e la poesia italiana fra Otto e Novecento. Capitoli di lingua e di stile, Roma, Aracne, 2003, pp. 347-357 ; Stefano Telve, « La lingua dei libretti di Arrigo Boito fra tradizione e innovazione (I) », Lingua nostra, LXV (2004), 1-2, pp. 16-30 e Stefano Telve, « La lingua dei libretti di Arrigo Boito fra tradizione e innovazione (II) », Lingua nostra, LXV (2004), 3-4, pp. 102-114 ; Emanuele D’Angelo, « I quaderni lessicali di Arrigo Boito nel museo storico del Conservatorio di Parma », Studi verdiani, 18 (2004), pp. 63-147 ; Luca Serianni, Storia dell’italiano nell’Ottocento, Bologna, il Mulino, 2013, pp. 221-222 ; Luca Serianni, La lingua poetica italiana. Grammatica e testi, Roma, Carocci, 2009 ; Ilaria Bonomi ed Edoardo Buroni, Il magnifico parassita. Librettisti, libretti e lingua poetica nella storia dell’opera italiana, con i contributi di Valeria Marina Gaffuri e Stefano Saino, Milano, FrancoAngeli, 2010, pp. 166-179.

4 Francesco Spera, « Le sperimentazioni poetiche di Boito », in Giovanni Morelli (dir.), Arrigo Boito. Atti del Convegno internazionale di studi dedicato al centocinquantesimo della nascita di Arrigo Boito, Firenze, Olschki, 1994, p. 4.

5 Cfr. Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1944, 2a edizione, pp. 314-320 ; Paolo Paolini, « Arrigo Boito e Manzoni: un’ammirazione travagliata », in Renzo Negri (dir.), Il Vegliardo e gli Antecristi. Studi su Manzoni e la Scapigliatura, Milano, Vita e Pensiero, 1978, pp. 104-127 ; e Paolo Paolini, « Appunti sulla cultura letteraria di Arrigo Boito : la letteratura italiana », Otto/Novecento, VII (1983), 5-6, pp. 75-94.

6 Claudio Marazzini, « Il gran ‘polverone’ intorno alla Relazione manzoniana del 1868 » [1976], in Claudio Marazzini, Unità e dintorni. Questioni linguistiche nel secolo che fece l’Italia, Alpignano, Mercurio, 2013, pp. 265-284.

7 Sulla questione della lingua nel secondo Ottocento, si veda anche Maurizio Vitale, La questione della lingua, Palermo, Palumbo, 1978, nuova edizione, pp. 437-611 ; Arrigo Castellani, « Consuntivo della polemica Ascoli-Manzoni » [1986], in Arrigo Castellani, Nuovi saggi di linguistica e filologia italiana e romanza (1976-2004), Roma, Salerno, 2009, vol. I, pp. 139-162 ; e Ludovica Maconi e Claudio Marazzini, « L’Unità d’Italia e la Relazione di Manzoni “Dell’unità della lingua” », in Alessandro Manzoni, Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, edizione critica del ms. Varia 30 della Biblioteca Reale di Torino, Claudio Marazzini e Ludovica Maconi (dir.), con due note di Giovanna Giacobello Bernard e Francesco Malaguzzi, Castel Guelfo di Bologna, Imago, 2011, pp. 13-27.

8 Cfr. Gioachino Rossini, Lettere di G. Rossini, Giuseppe Mazzantini e Fanny e G. Manis (dir.), Forni, Firenze 1902, pp. 315-317 : « Ora, qual è lo stato della musica in Italia, anzi nel mondo ? [...] / Dopo Rossini, che vuol dire da 40 anni, cosa abbiamo ? Quattro opere di Mayerbeer e.... / Come si può rimediare a una sì grave sterilità ? Evidentemente in soli due modi : 1o riprendendo da capo l’educazione dei cantanti, impresa lunga e difficilissima ; 2o aprendo il campo ai giovani maestri ». Cfr. poi Arrigo Boito, « A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi » [1868], in Arrigo Boito, Opere letterarie, Angela Ida Villa (dir.), Milano, Otto/Novecento, 2003, 3a edizione, pp. 375-376 : « In fine questa Società sarebbe composta di 2000 soscrittori, mecenati, paganti 40 lire all’anno e questo sarebbe il fondo sociale per provvedere alle spese richieste dagli scopi e dai mezzi. Il Ministero cederebbe i suoi quattro o cinque Conservatori (il Ministro d’Istruzione Publica non sa se sieno quattro o cinque) i quali costano allo Stato ogni anno 400,000 lire. La Società riceverebbe questi Conservatori col loro materiale o una parte (NB. una parte sola) dell’assegno fissato. Sarebbe dunque facile che lo Stato si lavasse le mani di questa roba (V. E. riconoscerà le parole testuali che cito) e la Società si sostituirebbe al Governo. / Morale della favola : Lavarsi le mani di questa roba de’ Conservatori. Far risparmiare al Governo quattro soldi, diminuendo la cifra che nel bilancio è destinata agli Istituti musicali. Porre la musica in istato di vagabondaggio e di mendicità abbandonandola alla volubilità di mecenati molto ipotetici i quali sottoscriverebbero una colletta a 40 franchi l’anno denominata Società Rossiniana. E ciò per amore del progresso e del rinascimento dell’arte !! ».

9 Cfr. Giuseppe Verdi, « Lettera al Ministro Broglio », ca. 15-30 maggio 1868, in Aldo Oberdorfer, Giuseppe Verdi : autobiografia dalle lettere, Milano, Rizzoli, 1981, p. 464-465 : « Sigr Ministro, / Ho ricevuto il Diploma che mi nomina Commendatore della Corona d’Italia. / Quest’ordine è stato istituito per onorare coloro che giovarono sia con le armi, sia con le lettere, scienze ed arti, all’Italia attuale. / Una lettera a Rossini dell’Eccellenza Vostra benché ignorante in musica (com’Ella stesso lo dice, e lo crede) sentenzia che da quarant’anni non si è più fatta un’opera in Italia. Perché allora si manda a me questa decorazione ? – Vi è certamente un’ [sic] equivoco nell’indirizzo e la rimando [...] ».

10 Sul pensiero linguistico di Lambruschini si veda Tina Matarrese, « “Città” e “campagna” nell’antifiorentinismo di Lambruschini », Cultura neolatina, XLI (1981), pp. 465-483 ; e Antonio Carrannante, « La posizione linguistica di Raffaello Lambruschini », Lingua nostra, XLII (1982), pp. 16-20.

11 Alessandro Manzoni, « Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla », in Alessandro Manzoni, Scritti linguistici editi, Angelo Stella e Maurizio Vitale (dir.), vol. 19 dell’Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000, pp. 48-102.

12 Cfr. Ludovica Maconi e Claudio Marazzini, « L’Unità d’Italia e la Relazione di Manzoni “Dell’unità della lingua” », in Alessandro Manzoni, Dell’unità della lingua e dei mezzi di diffonderla, edizione critica del ms. Varia 30 della Biblioteca Reale di Torino, Claudio Marazzini e Ludovica Maconi (dir.), con due note di Giovanna Giacobello Bernard e Francesco Malaguzzi, Castel Guelfo di Bologna, Imago, 2011, p. 22 : « Quanto alla posizione collegiale della sottocommissione fiorentina, essa può essere così riassunta : si accettava l’idea della compilazione di un vocabolario, ma lo si immaginava limitato, concentrato sul lessico comune, quello in cui si riscontravano le più evidenti carenze. Venivano poi elencati i buoni vocabolari già disponibili o in corso di realizzazione, come quello della Crusca, per il quale si sollecitava una distribuzione più attiva, anziché lasciarlo giacere dimenticato nei magazzini del pubblico demanio, come effettivamente stava accadendo. Era evidente, a questo punto, che non era stata recepita la portata innovativa della proposta manzoniana, la quale partiva dal presupposto che la lingua andasse in qualche misura rifondata, voltando le spalle per sempre alla tradizione letteraria rappresentata dagli spogli della Crusca, anche se la quinta edizione del Vocabolario fiorentino era senza dubbio migliore delle precedenti e più aperta verso la modernità ».

13 Cfr. con l’inizio della lettera di Broglio a Rossini (Lettere di G. Rossini, Giuseppe Mazzantini e Fanny e G. Manis (dir.), Forni, Firenze 1902, p. 315) : « Illustre Maestro. / Ella, naturalmente, non se ne ricorderà ; ma io ebbi l’onore e il piacere di avere più d’un colloquio, in vita mia, con lei ».

14 Arrigo Boito, « A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi » [1868], in Arrigo Boito, Opere letterarie, Angela Ida Villa (dir.), Milano, Otto/Novecento, 2003, 3a edizione, pp. 373-374.

15 In quegli anni di polemica Broglio ricevette l’appellativo di asino da più parti. Vale la pena di ricordare, per esempio, un epigramma del già citato Rigutini, che scrisse : « Fior di trifoglio, / Da San Firenze s’è sentito un raglio, / Era un sospiro del ministro Broglio » : cfr. Ferdinando Martini, Confessioni e ricordi. 1859-1892, Milano, Treves, 1928, p. 101. L’epigramma fu ripreso anche da Giosué Carducci, il quale polemizzò con il Ministro non solo per questioni linguistiche, ma anche politiche. Nel marzo del 1868 Carducci, insieme ad altri due professori dell’Università di Bologna, fu infatti sospeso dall’attività di insegnamento per aver collaborato a un giornale antimonarchico, l’Unione democratica di Bologna.

16 Proseguendo si trovano altre espressioni simili : « come dicono in su quel di Pistoja », « come dice Lei », « la prego di accettare questa frase di pura fonte toscana che le metto in bocca per farle cortesia », « come dicono i carissimi toscani ».

17 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. arri : « Voce con cui s’incitano specialmente gli asini ».

18 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. combinare : « Trovarsi per caso in un luogo ».

19 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. cuculiare : « Canzonare, Beffare ».

20 Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Barberi Squarotti, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2009, s.v. daddovero : « Ant. e dial. Sul serio, con certezza ; veramente, realmente ; proprio davvero ».

21 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. diventare o doventare. La forma fu stigmatizzata nel « Proemio » [1873] all’Archivio Glottologico Italiano da Graziadio Isaia Ascoli (Scritti sulla questione della lingua, Corrado Grassi (dir.), Torino, Einaudi, 1975, p. 26) : « Ma se il barbassoro potesse mai sapere, che il fiorentinismo, in certi momenti, ha degli entusiasmi minacciosi, durante i quali par che l’Italia non debba risorgere se non al sacro grido di Noi si doventa òmini, egli direbbe, almeno fra sé, che questo è un bell’avviamento ad evirarsi ».

22 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. fisima : « Capriccio, Voglia o Pensiero che salta a un tratto nella mente, e senza fondata ragione ».

23 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. ghigna : « Faccia sinistra ». Per torturatona, che vale “bastonatura” si veda Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 410.

24 Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Barberi Squarotti, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2009, s.v. guarnacca : « Sopravveste originariamente ampia e lunga, aperta ai lati, spesso foderata di pelliccia e fornita di cappuccio, che veniva indossata, specie dagli uomini, sopra ogni altro abito per ripararsi dal freddo e dalla pioggia (e in Italia restò in uso sino alla fine del secolo XVI) ».

25 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. incespicare : « Rimanere camminando coi piedi impigliati in un cespuglio o altro sim. intoppo ».

26 Il manfanile della polenda è qui il « mestone della polenda », ossia della polenta : cfr. Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 413.

27 Nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, è lemmatizzata la forma manicare : « Volg. per Mangiare. Detto segnat. Di chi mangia con avidità e ingordigia ».

28 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. raccapezzare : « Comprendere, Intender bene, cosa per cosa ».

29 Cfr. Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Barberi Squarotti, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2009, s.v. sguaraguatare : « Ant. e letter. Osservare con insistenza e attenzione ».

30 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. sor e sora : « accorciativo di Signore e Signora. Usasi fam. e pop. innanzi al nome proprio ».

31 Nel Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, è attestata la forma sughera per indicare la pianta, non per la corteccia, il sughero.

32 Nella parodia Boito coglie qui un aspetto centrale della teoria fiorentinista, anche se forse non ne comprende pienamente le ragioni profonde. In effetti, la ricerca sulla fraseologia era stata fondamentale negli studi di lingua di Manzoni ed era stata condotta con un atteggiamento nuovo rispetto ai puristi. Per lo scrittore milanese, infatti, non si trattava più di cercare esteticamente le perle di una lingua pura, spulciando gli autori antichi o andando a interrogare qualche contadino nel contado toscano. Nella teoria manzoniana la fraseologia assume un ruolo centrale per il suo valore socio-linguistico: l’espressione idiomatica, che non può essere capita dallo straniero e che suona invece naturale sulle bocche dei nativi, è l’esempio migliore dell’uso di una lingua viva in cui l’intera comunità possa riconoscersi.

33 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. asino : « § 10. Cascar l’asino, Qui mi cascò o mi casca l’asino, Modo prov. Del punto d’un’impresa o d’un discorso, dove uno si fermi, perché trovi a un tratto un intoppo ».

34 Vocabolario degli Accademici della Crusca, 6 voll., Firenze, Manni, 1729-1738, 4a edizione, s.v. baccello : « § IV. Distinguere il baccello da’ paternostri. vale Far distinzione tra cose assai diverse ».

35 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. bisognino : « S’usa nel prov. Il bisognino fa trottar la vecchia; e vale La necessità costringe l’uomo al lavoro, e a adattarsi a ogni cosa ».

36 Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, s.v. ranno : « § 3. Perdere il ranno e il sapone; prov. Gettare inutilmente tempo e fatica ».

37 Vale “vendere l’amaro per il dolce”, “imbrogliare” : cfr. Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 254.

38 Cfr. Grande dizionario della lingua italiana, fondato da Salvatore Battaglia, diretto da Giorgio Barberi Squarotti, 21 voll., Torino, UTET, 1961-2009, s.v. vermocane : « 2. Insulto, improperio; maledizione ».

39 Sul Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze si veda Ghino Ghinassi, « Alessandro Manzoni e il “Novo vocabolario della lingua italiana” », in Novo vocabolario della lingua italiana, ristampa anastatica dell’edizione 1870-1897, Firenze, Le Lettere, 1979, pp. 5-33.

40 Vocabolario degli Accademici della Crusca, Venezia, Sarzina, 1623, 2a edizione s.v. sguaraguatare : « Sguaraguardare. Franc. Sacch. A pena si conoscono insieme sguaraguatando l’uno insino in sul viso all’altro, prima, che si conoscano ». Si noti che sguaraguatare fu usato da Manzoni nel Fermo e Lucia e poi soppresso nella riscrittura.

41 Vocabolario degli Accademici della Crusca, 6 voll., Firenze, Manni, 1729-1738, 4a edizione, s.v. baccello : « § IV. Distinguere il baccello da’ paternostri. vale Far distinzione fra cose assai diverse. Franc. Sacch. nov. 209. Dice la serva, sia col buon anno, s’io non conosco il baccello da’ paternostri, io vi dico, che ella è un’anguilla ».

42 Vocabolario degli Accademici della Crusca, 6 voll., Firenze, Manni, 1729-1738, 4a edizione, s.v. vermocane : « Sorta di malattía, che talora si desidera altrui per imprecazione. Franc. Sacch. nov. 4. Mo ti nasca il vermocane; son io così dappoco, ch’io non vaglia più d’una pignatta? ».

43 Come per esempio in Giuseppe Rigutini e Pietro Fanfani, Vocabolario della lingua parlata, Firenze, Barbèra, 1875. In Policarpo Petrocchi, Dizionàrio universale della lingua italiana, Milano, Treves, 1894 [1887-1891] le forme distinguere il baccello da’ paternostri, sguaraguardare, vermocane (come imprecazione) compaiono nella parte della lingua fuori dell’uso, mentre, nella parte della lingua dell’uso, guarnacca è definito « T. stor. ».

44 Nei canti antologizzati nel volume si ritrovano anche altre parole di più larga diffusione come daddovero o doventare.

45 Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 413.

46 Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 410.

47 Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 392.

48 Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, p. 254.

49 Cfr. Claudio Marazzini, « De Amicis, Firenze e la questione della lingua », in Claudio Marazzini, Unità e dintorni. Questioni linguistiche nel secolo che fece l’Italia, Alpignano, Mercurio, 2013, p. 292 : « Intellettuali come Tommaseo, Lambruschini e Tigri guardavano alle zone rurali della Toscana ; la loro scelta si orientava decisamente fuori della cerchia urbana di Firenze, per reagire a una supposta corruzione della parlata fiorentina, ritenuta troppo disponibile ad accogliere francesismi e settentrionalismi. Tale disponibilità pareva un segno della debolezza morale dell’area urbana, a cui si contrapponeva la purezza della campagna (Tommaseo e Tigri, si noti, si erano occupati di cultura popolare, raccogliendo canti toscani tra i contadini) ». Oltretutto, si tenga presente che proprio uno scritto di Tigri sulla relazione manzoniana, apparso l’11 marzo 1868 su La Perseveranza, condusse Manzoni a scrivere La lettera intorno al vocabolario per chiarire, semplificando molto, come il fiorentino non andasse confuso con il toscano. Cfr. Alessandro Manzoni, « Lettera intorno al vocabolario », in Alessandro Manzoni, Scritti linguistici editi, Angelo Stella e Maurizio Vitale (dir.), vol. 19 dell’Edizione nazionale ed europea delle opere di Alessandro Manzoni, Milano, Centro Nazionale Studi Manzoniani, 2000, pp. 129-160.

50 Giuseppe Tigri, Canti popolari toscani, Firenze, Barbèra, 1856, pp. VII-VIII.

51 Si tratta di Filippo Ugolini, Vocabolario di parole e modi errati, Firenze, Barbèra, 1855. Cfr. in questo vocabolario la voce amatore : « es. Egli è grande amatore della musica – dirai dilettante, ha grande trasporto ».

52 Arrigo Boito, « A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi » [1868], in Arrigo Boito, Opere letterarie, Angela Ida Villa (dir.), Milano, Otto/Novecento, 2003, 3a edizione, p. 375.

53 Emilio Broglio, « Lettera a Ruggero Bonghi », in Novo vocabolario della lingua italiana secondo l’uso di Firenze, Firenze, Cellini, 1870-1897, vol. 3, p. XXXIX.

54 Cfr. Ferdinando Martini, Confessioni e ricordi. 1859-1892, Milano, Treves, 1928, p. 102 : « La Vita di Federigo [di Emilio Broglio] si accrebbe più tardi con Il Regno di Federigo secondo, detto il grande, Re di Prussia : in tutto quattro volumi, che pochi han letto, oggi non legge nessuno, e pur sono sotto certi aspetti divertentissimi, e istruttivi per questo : che dimostrano a quali termini ridurrebbe la dignità del discorso storico il parlar fiorentino, usato senza criterio e fuor d’ogni misura ». Sull’irrigidimento retorico della scuola manzoniana si veda Graziadio Isaia Ascoli, « Proemio » [1873], in Graziadio Isaia Ascoli, Scritti sulla questione della lingua, Corrado Grassi (dir.), Torino, Einaudi, 1975, p. 31 : « Ma le squisite brame di quel Grande, che è riuscito, con l’infinita potenza di una mano che non pare aver nervi, a estirpar dalle lettere italiane, o dal cervello dell’Italia, l’antichissimo cancro della retorica, hanno pur dovuto, per tutto quanto concerne le rinnovate norme della parola, degenerare prontamente, fra gl’imitatori, in un nuovo eccesso dell’Arte. Le ragioni pratiche, che rincarando sulla lezione del Maestro, od ampliandola, si vennero adducendo dai seguaci, altro non devono parere esse medesime che una scusa dell’Arte, intenta a coonestare i suoi arbitrj ».

55 Manzoni è tra l’altro sempre nominato con rispetto : cfr. Arrigo Boito, « A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi » [1868], in Arrigo Boito, Opere letterarie, Angela Ida Villa (dir.), Milano, Otto/Novecento, 2003, 3a edizione, p. 378 : « E fa scrivere (furiosamente) un vecchio venerando che non aveva scritto da trent’anni, e ne scuote un altro che non s’era mosso da quaranta ? ! / Se V. E. avesse rispettato davvero Manzoni e Rossini non li avrebbe distolti dalla loro pace e dal loro silenzio ».

56 Arrigo Boito, « A sua Ecc. il Ministro della Istruzione publica. Lettera in quattro paragrafi » [1868], in Arrigo Boito, Opere letterarie, Angela Ida Villa (dir.), Milano, Otto/Novecento, 2003, 3a edizione, p. 378.

57 Paolo Paolini, « Appunti sulla cultura letteraria di Arrigo Boito: la letteratura italiana », Otto/Novecento, VII (1983), 5-6, p. 79.

58 Graziadio Isaia Ascoli, « Proemio » [1873], in Graziadio Isaia Ascoli, Scritti sulla questione della lingua, Corrado Grassi (dir.), Torino, Einaudi, 1975, p. 16.

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Pour citer cet article

Matteo Grassano, « « Ubbie frivole e fantastiche ». Appunti linguistici su una lettera di Arrigo Boito », paru dans Loxias-Colloques, 17. Arrigo Boito cent ans après, « Ubbie frivole e fantastiche ». Appunti linguistici su una lettera di Arrigo Boito, mis en ligne le 31 mai 2020, URL : http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1622.

Auteurs

Matteo Grassano

Matteo Grassano est actuellement chercheur en Linguistique Italienne à l’Université de Bergamo. Il a étudié à l’Université de Pavia et à l’Université Côte d’Azur, où il a obtenu son diplôme de doctorat en 2018. Ses intérêts scientifiques portent principalement sur l’histoire de la langue et de la littérature italiennes du XIXe et du XXe siècle. Il est l’auteur de plusieurs articles et de deux monographies (La prosa parlata. Percorsi linguistici nell’opera di Edmondo De Amicis, Milano, FrancoAngeli, 2018 et Il territorio dell’esistenza. Francesco Biamonti (1928-2001), Milano, Franco Angeli, 2019).