Loxias-Colloques |  17. Arrigo Boito cent ans après 

Francesco Bonelli  : 

Su alcuni motivi scapigliati ne La musica in piazza di Arrigo Boito

Résumé

De quelques motifs de la « scapigliatura » dans La musica in piazza d’Arrigo Boito
La contribution analyse la nouvelle de Arrigo Boito La musica in piazza, publiée dans la Gazzetta musicale entre 1870 et 1871, et dédiée aux deux musiciens milanais Barbapedàna et Gippa. Trop longtemps négligé par la critique, ce récit de Boito permet de jeter un nouvel éclairage sur l’évolution de la poétique de l’auteur, en raison de la présence de motifs qui le rapprochent de la production narrative de la « Scapigliatura » milanaise des années 1860 et 1870, comme par exemple l’attention portée à la représentation de la réalité urbaine milanaise ou le thème musical. À travers une comparaison avec les romans ou nouvelles d’auteurs tels que Tarchetti, Valera, Ghislanzoni et Gualdo, l’article met notamment en évidence la spécificité de cette nouvelle dans son caractère humoristique, sous l’enseigne du dualisme typique de la poétique de Boito.

Abstract

About some typical themes of the Milanese Scapigliatura in La musica in piazza by Arrigo Boito
The contribution analyses the short story
La musica in piazza by Arrigo Boito, published in the “Gazzetta musicale” between 1870 and 1871, and dedicated to the two Milanese musicians Barbapedàna and Gippa. Often neglected by critics, this short story sheds new light on the evolution of Boito’s poetics, because of the presence of themes that are typical of the Scapigliatura Milanese of the 1860s and 1870s, such as the description of the suburb of Milan or the musical subject matter. Through a comparison with novels and other short stories by authors such as Tarchetti, Valera, Ghislanzoni and Gualdo, the article highlights the peculiarity of La musica in piazza in its humorous character, in accordance with the dualism typical of Boito’s poetics.

Riassunto

Il contributo analizza la novella di Arrigo Boito La musica in piazza, pubblicata nella Gazzetta musicale tra il 1870 e il 1871, e dedicata alla figura dei due musicisti milanesi Barbapedàna e Gippa. Spesso trascurata dalla critica, questa prova di Boito permette di gettare una nuova luce sull’evoluzione della poetica dell’autore, per la presenza di alcuni motivi che la collegano alla produzione narrativa della Scapigliatura milanese degli anni Sessanta e Settanta dell’Ottocento, come l’attenzione data alla rappresentazione della realtà urbana milanese o l’argomento musicale. Attraverso un confronto con i romanzi o le novelle di autori quali Tarchetti, Valera, Ghislanzoni e Gualdo, l’articolo evidenzia in particolare la specificità della novella nel suo carattere umoristico, all’insegna del dualismo tipico della poetica di Boito.

Index

Mots-clés : Antonio Ghislanzoni , Luigi Gualdo, Scapigliatura, Boito (Arrigo) , Igino Ugo Tarchetti

Palabras claves : Antonio Ghislanzoni , Boito (Arrigo), Igino Ugo Tarchetti, Luigi Gualdo, Scapigliatura

Plan

Texte intégral

1Tra le novelle di Boito, La musica in piazza. Ritratti di giullari e menestrelli moderni, pubblicata in nove puntate tra il febbraio 1870 e il giugno 18711 nella Gazzetta musicale, è a oggi probabilmente quella meno letta e studiata. Anche perché, va detto, lo stesso riconoscimento del testo come ‘novella’ è, in realtà, un’acquisizione critica piuttosto recente. Da un lato la sua natura ibrida, per cui la parte narrativa incentrata sulle figure dei due menestrelli Barbapedàna e Gippa si alterna a numerosi inserti saggistici, dall’altro la sua collocazione primigenia nel giornale di Ricordi e Ghislanzoni all’interno della rubrica Cose varie, e non tra le Appendici (dove solitamente figuravano i testi narrativi)2, hanno a lungo favorito questo fraintendimento. Non a caso, gli editori dell’opera boitiana l’hanno spesso inserita tra gli scritti di tipo cronachistico e giornalistico (così ad esempio De Rensis, che la pubblica nella raccolta Critiche e cronache musicali di Arrigo Boito del 1931, o Piero Nardi, che nella sua edizione di Tutti gli scritti la inseriva nella categoria Pagine e discussioni d’arte). Col risultato di escluderla, nella maggior parte dei casi, dalle successive ristampe delle novelle3.

2Nel quadro di una riflessione sul Boito novellista, invece, ci sembra utile soffermarci su questo testo, e non soltanto perché lo stesso Boito lo inserì nel progetto definitivo, benché rimasto incompiuto, di edizione delle sue novelle sotto il titolo Incubi - come dimostrato da Villa, di cui seguiamo qui l’indicazione4. A ben vedere, infatti, nella Musica in piazza, al netto di alcune digressioni del resto non insolite nella produzione narrativa coeva5, compaiono anche temi e motivi tipici della novellistica scapigliata di questi anni : ci riferiamo all’attenzione per il dato realistico, approfondito soprattutto nella direzione di un’esplorazione delle zone meno note della città ; o alla presenza dell’argomento musicale quale spunto di riflessione attorno al concetto di creazione artistica. Elementi che fanno di questo « vaniloquio », come lo definì lo stesso Boito in una lettera a Gianmartino Arconati Visconti del 18716 - con termine che non può non ricordare le Storielle vane del fratello - un documento importante per valutare non soltanto l’evoluzione della produzione di Boito in una fase cruciale (il biennio 1870 e 1871), ma anche il suo rapporto con i contemporanei esperimenti narrativi di autori scapigliati a lui vicini anche dal punto di vista biografico, come Tarchetti, Ghislanzoni o Gualdo.

Depistaggi realistici. Dalle case nuove alle case vecchie

3La novella La musica in piazza si presenta al lettore con una struttura tripartita. Abbiamo innanzitutto La cornice dei ritratti, riflessione attorno all’opposizione tra i concetti di musica in piazza e musica in gabbia (sulla quale torneremo più avanti). A questa seguono, svolgendo una sorta di esemplificazione di tale tesi, le due sezioni Barbapedàna e La scuola del Gippa, dedicate rispettivamente a un mitico cantastorie milanese di metà Ottocento7, realmente esistito, e al maestro di mandolino di una scuola che, anch’essa, tiene a precisare Boito, « esiste realmente a Milano8 ». Tali precisazioni circa la storicità dei personaggi sono coerenti col tono realistico del racconto, specie nei brani che introducono entrambe le sezioni. Già questo elemento segna in qualche modo la specificità della novella rispetto alle atmosfere generalmente più indeterminate e apertamente simboliche degli altri racconti di Boito9.

4I due protagonisti de La musica in piazza sono calati dall’autore, infatti, non solo nel mezzo di una Milano concreta e ricostruita con dovizia di dettagli, ma con particolare attenzione per i suoi aspetti più degradati e oscuri. Lo mostrano bene i passaggi che riportiamo qui sotto, tolti dai brani che precedono sia l’incontro con Barbapedàna sia quello con Gippa :

Fra il corso di Porta Tosa e la via di S. Pietro in Gessate s’alza un’isola di squallide case, ammasso di muri, vasto ed informe, forato qua e là da una vera carie di anditi occulti, di tramiti, di sottoportici. Ivi serpeggiano certe viuzze nascoste, note soltanto agli oscuri abitanti del borgo. Ivi si trova il vicolo Incardino, il vicolo Bindellino, il vicolo Colonnetta, il vicolo Bissati. C’è da scommettere che fra tutti i nostri lettori non ve n’abbia uno il quale conosca questi reconditi siti della Suburra Milanese ed è perciò che li accenno. Per chi da segreta vaghezza è spinto verso le strade poco battute, alla cerca dell’ignoto e del buio, il vicolo Bindellino è inapprezzabile. Lungo, stretto, tortuoso come lo indica il nome, rassomiglia a un budello arruffato ; certa cale di Venezia, certo viottolo di Genova, la rue de trois canettes di Parigi sono parenti di questo vico remoto sulla cui calce, il salnitro, bizzarro ornamentista, disegna frange e festoni10.

Ti ho promesso, o lettore, di farti conoscere la scuola del Gippa. Immaginati dunque di pigliare il tuo cappello di campagna il più democratico che tu possiedi per non eccitare troppo la sorpresa o le celie di coloro che dobbiamo visitare ; immaginati di escire di casa, di attraversare la piazza del Duomo, di pigliare il corso di Porta Ticinese e in fondo in fondo, di voltare in una certa viuzza a sinistra detta Via Stampa, e lì di fermarti alla seconda casupola e precisamente a quella che porta il Numero 1411.

5Vicoli angusti, viuzze, casupole squallide e fatiscenti. In anni in cui uno dei giornali della Scapigliatura più battagliera, il Gazzettino Rosa, invitava i « Signori » a visitare « le miserabili soffitte del povero » e i « quinti piani, dove sono alla rinfusa agglomerati madri, vergini, fanciulli » per « comprendere dove sta il marcio della nostra società12 », si sarebbe tentati di leggere quest’insolita esplorazione urbana come un’adesione, almeno formale, ai canoni realistici che andavano allora imponendosi presso alcuni settori della Scapigliatura milanese. L’attenzione per l’universo urbano e le sue zone d’ombra, i molti riferimenti toponomastici, l’accenno al « cappello di campagna il più democratico che tu possiedi13 », a significare lo squilibrio sociale di chi racconta rispetto a questa Milano occulta, anticipano infatti certi reportage metropolitani degli anni Settanta e Ottanta del secolo. Siamo certo lontani dai toni violenti e dalle requisitorie di Paolo Valera nella sua Milano sconosciuta (1879). Ma quelle di Boito sono pagine che non avrebbero stonato, ad esempio, nel racconto per quadri del più tardo Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale (1888), soprattutto per il tono rievocativo di una certa Milano che fu (l’episodio di Barbapedàna è descritto da Boito come frutto di « reminiscenze » che « mi ritornano nella memoria14 »). O anche, per tornare alla fine degli anni Sessanta, in alcuni luoghi dell’opera narrativa di Tarchetti, come quelli giocati nel romanzo sociale Paolina sulla contrapposizione tra le « soffitte dell’operaio15 » e lo sfarzo oltraggioso del palazzo del Marchese B., « dove si profonde in un’ora quanto basta per nutrire in un lustro cento famiglie povere16 » ; ma si veda anche questa descrizione dei sobborghi milanesi nel racconto I fatali, dove ritroviamo la stessa trasfigurazione decorativa del degrado (lì il « salnitro, bizzarro ornamentista », qui « l’umido » che produce « alcune rifioriture ») e il paragone con altre città viste nel passaggio dedicato da Boito al vicolo Bindellino :

Abitava essa una di quelle casupole grigie e isolate che fiancheggiano il naviglio dalla parte occidentale della città - una vecchia casupola a due piani che il tetto sembrava comprimere e schiacciare l’uno sull’altro come una cappa pesante di piombo, tanto erano bassi ed angusti. Correvanle tutto all’intorno alcuni assiti neri e tarlati su cui si arrampicavano delle zucche nane e dei convolvoli malati di clorosi. […] l’umido del naviglio aveva prodotto qua e là alcune rifioriture nell’intonaco esterno delle pareti, e le aveva rivestite di muffa e di piccole pianticelle di acetosa […].
Non vi sono forse a Milano cento persone le quali abitino nel centro della città, e conoscano con esattezza quella parte de’ suoi dintorni. […] Quel lembo estremo di case che costeggia il naviglio da Porta Nuova a Porta Ticinese è ciò che è la Marinella a Napoli, ciò che è il Temple a Parigi, ciò che è Seven-dials a Londra
17.

6Un Boito realista, dunque ? È una domanda che, a questo punto, vale la pena porsi, perché permette di chiarire come, in realtà, nella mimesi di certi moduli narrativi realistici – e La musica in piazza rappresenta una tappa importante di questo trapasso –, l’autore giunga paradossalmente a un definitivo distacco da certe ambiguità scapigliate. Boito, è vero, era stato tra i primi, in seno alla Scapigliatura, e di concerto con Praga nelle pagine dell’effimera rivista Figaro (1864), a parlare direttamente e in prima persona di realismo con riferimento al proprio programma artistico : « E sarà un’arte malata, vaneggiante, al dire di molti, un’arte di decadenza, di barocchismo, di razionalismo, di realismo ed ecco finalmente la parola sputata18 ». Ma tale realismo poggiava, come ha giustamente osservato Villa, sui concetti di « autonomia dell’arte » e « integrale rappresentabilità del reale, senza preclusioni moralistiche benché con senso estetico della misura19 ». Un’indicazione di rotta assai diversa da quella suggerita in quegli stessi anni dalla Scapigliatura politica capeggiata da Felice Cameroni, per il quale il realismo doveva, sì, « enfoncer il convenzionalismo delle altre scuole20 », ma seguendo una bussola ideologica ben definita ed evitando la trappola dell’arte per l’arte21.

7Alla luce di questa divergenza programmatica, l’inquadramento urbano che Boito dà alla novella, più che un’adesione, funziona allora da palinodia e « messa in burla22 ». Tale ironia si mostra in particolare nell’affiorare, qua e là, di giochi oppositivi che tolgono effettiva capacità referenziale al discorso realistico. L’abitazione del Barbapedàna, ad esempio, si trova - è vero - nell’oscuro e tentacolare vicolo Bindellino. E tuttavia, precisa Boito

Soventi le più liete creature s’accolgono fra le più fracide cose ; ogni carie è un nido ; sul fracido tumulo corre il dorato coleöptero, sul fracido ramo canta l’usignuolo e il menestrello dorme nel fracido tugurio23.

8Come l’insetto prezioso può correre sul tumulo e l’usignolo può cantare dal fracido ramo, anche il menestrello Barbapedàna, afferma l’autore con un parallelismo rafforzato dal chiasmo, può dormire nel tugurio. Si torna insomma in pieno regime dualistico, alla maniera tipica di Boito.

9Questo stesso schema per opposti è attivo anche nella sezione dedicata alla scuola del Gippa. Qui però, in accordo con la qualifica di ‘menestrelli’ riservata ai due personaggi, il dualismo pare attivarsi sul piano temporale, per cui il degrado sopra descritto richiama, in realtà, le vestigia di un mitico feudalesimo :

Ho detto casupola [con riferimento alla casa del Gippa], avrei potuto dire palagio, poiché agli edifici non accade, come agli uomini, di perdere la maestà nella ruina. L’abitacolo del Gippa ha tutto il carattere di una di quelle antiche radici di torre che esistono ancora nei dintorni del Carrobio (ad locum ubi Carrubio dicitur) radici cariate, nere, rose dal tarlo del tempo, delle quali non rimangono ritte più che le basi delle nude pareti. Tutta la ferrea epopea della vecchia porta Snesia o porta Isnensis vibra ancora per entro a quelle radici di rocche, i denti del feudalesimo malamente strappati24.

10La Milano oscura dei vicoli nascosti non è quella del degrado, alla maniera umanitaria di Tarchetti o politico-sociale di Valera, ma la traccia riaffiorante di un’epoca medievale vagheggiata, come in Iberia o in Castello antico (« O fastigi ! o torri ! o mura ! / […] / Tutto sparve25 »), qui resa con metafora ‘dentaria’ forse prelevata da Praga26. Questo gioco arriva fino alla trasfigurazione scenica vera e propria, giocata sull’opposizione pittorica e coloristica tra luce e ombra :

E nulla v’è più di più pittorico a vedersi ; tutti i contrasti della forma, del colore e dell’idea sono raccolti in quelle fortezze divenute tugurii. […]
Rembrant, Goya e Dorè rimarrebbero esterrefatti davanti il colore di quel cortile illuminato e offuscato in pari tempo dalla luce meridiana. Il sole v’infiltra i suoi raggi a zampilli e vi scaglia a sprazzi le sue ombre, vi fa il giorno e insieme la notte ; quel quadretto del vero può chiamarsi
la festa del chiaro-scuro, è un’acquaforte praticabile (come dicono i scenografi), i fori delle finestre buie come cantine, le pagliuzze del suolo rifulgono tra i ciottoli come schegge d’oro. Tutto è ivi antitesi. Gli effetti del vero vi s’imbizzarriscono gaiamente come tanti spiritelli di pittori in mattana27.

11La Milano di questi sobborghi, insomma, non è tanto un luogo fisico, quanto un quadro che il consueto « dualismo boitiano » - non diversamente da quanto accade in altre zone della produzione dell’autore - riconduce a uno « stato di sospensione (etica non meno che estetica) […] a un’astrazione che sfiora l’esattezza geometrica28 ». Questo gioco d’equilibrismo tra luce e ombra, tra passato e presente era già stato praticato da Boito, con riferimento al tema delle demolizioni, in Case nuove (1866)29 (« Zappe, scuri, scarpelli / Ariëti, martelli / Istrumenti di strage e di ruina, / L’impero è vostro !30 »). Si potrebbe anzi leggere questa parte della novella, rispetto a quella lirica, come una sorta di variazione narrativa sul medesimo tema. Lo suggerisce una certa consonanza di immagini, come quella del cieco brancolante di Case nuove

E il cieco brancolante in sulla sponda
Della contrada - smarrirà la strada
Com’uom che sogna
31.

12che sembra ritornare, ribaltata, nella precisazione posta a chiosa della cornice realistica del ritratto di Barbapedàna :

Ecco perché fin dal bel principio di questo ritratto, m’è occorsa necessità di marcare ben bene la contrada ov’è la dimora dello strano personaggio che sto per descrivere e ho fatto ciò per quello stesso istinto che anima colui il quale dubita di sognare e palpa le pareti a fine di ravvisare l’evidenza del vero32.

13Lì il sogno emergeva tra le pieghe delle trasformazioni urbane, come risultato della cancellazione del passato ; qui è invece consustanziale all’antica contrada in cui abita Barbapedàna. Dalle case nuove alle case vecchie, verrebbe da dire. Anche perché la ricerca di questi menestrelli moderni, nel suo evidente anacronismo, non può che guardare al passato, entro i confini di una Milano segreta che, come lo scrupolo di realismo del brano citato (quasi un’excusatio non petita) dichiara indirettamente in maniera fin troppo chiara, si presenta in buona parte trasfigurata.

Il tema musicale come riflessione sull’arte

14L’ambiguità della cornice urbana che circonda i ritratti di Barbapedàna e Gippa mostra come dietro l’apparente realismo della novella si debba ricercare, in verità, un significato simbolico, similmente ad altre prove narrative dell’autore. Ciò va fatto però, a nostro avviso, non soltanto nella direzione di un’interpretazione esoterica del testo, come pure è stato a ragione notato33, ma anche nel senso di una riflessione più generale intorno al tema dell’arte. Anche perché - e veniamo qui a un altro interessante paradosso della novella, finora non sufficientemente puntualizzato dalla critica - La musica in piazza è l’unico racconto di Boito i cui personaggi principali sono dei musicisti. Tale dato non sorprende tanto in riferimento alla doppia natura di musicista-letterato dell’autore, del resto non eccezionale all’interno della bohème milanese. Quanto, piuttosto, in relazione alla sovrabbondanza di personaggi artisti o musicisti, perlopiù sfortunati, che è possibile rinvenire nei racconti scapigliati di questi anni, specie in zone direttamente contigue (anche editorialmente) alla Scapigliatura di Boito. Novelle a tema musicale34 sono, ad esempio, L’innamorato della montagna. (Impressioni di un viaggio) e quelle della raccolta Amore nell’arte35 del già citato Tarchetti, autore (come Boito) in orbita ghislanzoniana e frequentatore del salotto della contessa Maffei. Novelle e racconti musicali scrissero pure Ghislanzoni, di cui ci limitiamo a segnalare qui La tromba di Rubly36, storia di un trombettista che acquista un talento musicale eccezionale dopo la morte della giovane sposa. Né vanno dimenticate alcune novelle del fratello Camillo (ci riferiamo a Il maestro di setticlavio e Il demone muto, queste però posteriori) e quelle, soprattutto, dell’amico Luigi Gualdo37, raffinato bohème attivo tra Francia e Italia che esordisce nel 1867 proprio con un racconto a tema musicale, La canzone di Weber38, presentata al pubblico come pubblicazione della Gazzetta musicale per i tipi Ricordi.

15Insomma, risulta difficile pensare che i due profili di Barbapedàna e Gippa non siano stati concepiti, almeno in parte, con riferimento a questa tradizione, tutta antecedente (ad eccezione dei racconti di Camillo Boito) a La musica in piazza. Tanto più che i menestrelli di Boito sembrano modellati in opposizione ai musicisti degli autori sopra menzionati. Un elemento, questo, che all’interno di un genere come quello della novella musicale, di solito utilizzato in ambito scapigliato per una tematizzazione del rapporto con l’arte (il titolo della raccolta tarchettiana è trasparente in questo senso), invita a considerare tale prova anche in termini di una presa di posizione poetica.

16Tra le due figure di musicisti de La musica in piazza, quella di Barbapedàna è senz’altro la più stratificata dal punto di vista simbolico. Abbiamo già detto come questa si ispiri a un personaggio di cantastorie realmente esistito. Boito ne allarga tuttavia i tratti fino a farne l’incarnazione del concetto di musica in piazza esposta ne La cornice. Varrà la pena ritornare per un momento a quest’idea, proprio per l’importanza che ha nella caratterizzazione del personaggio. Nella già citata lettera ad Arconati Visconti, Boito aveva giustificato la scelta di questo soggetto « più umile e più innocente » come una reazione di contro alla « critica che si va facendo quotidianamente sui maestri e sui cantanti di teatro (tanto m’è parsa venale e melensa)39 ». E in effetti l’introduzione della cornice è tutta un’esaltazione della musica in piazza in opposizione alla cosiddetta musica in gabbia :

La musica in piazza è la musica in libertà, è il suono che canta, che vola sotto il sole, sotto le stelle, in mezzo all’aria, nella pienezza del proprio elemento ; è la nota sfuggita dalle volte del teatro, dalle pareti della camera, dalle navate della chiesa, evasa da tutte le sue prigioni nell’atmosfera salubre del cielo aperto, sciolta da ogni catena, franca da ogni barriera, cinguettante co’ passeri, librantesi colle rondini. La musica in piazza è la musica fuori di gabbia40.

17Da una parte, quindi, « la musica in chiesa, la musica in camera, la musica in teatro ; tesi vecchie e crucciose intorno alle quali già troppo s’affollarono le estetiche dei sapienti, le critiche dei saccenti, le polemiche, le controversie, le palinodie41 ». Dall’altra il suono libero e senza costrizioni, che « spazia nell’immensità ed ha per cupola lo zenit e per cinta l’estremo lembo dell’orizzonte42 ».

18Quello della musica libera e per così dire ‘naturale’, refrattaria a ogni costrizione sociale, è un motivo che ritorna spesso nella novellistica scapigliata d’argomento musicale, a significare un « atto d’accusa nei confronti di una società superficiale, mercificata, dove l’espressione artistica è episodica, marginale, e anche quando appare sublime ed incontra il favore del pubblico presenta comunque risvolti inquietanti ». Dinanzi a questo stato di cose, tuttavia, « i nostri scrittori non propongono soluzioni43 », fatta eccezione per una generica e regressiva polemica contro ogni convenzione. Si veda, a titolo di esempio, questo passaggio digressivo da L’innamorato della montagna di Tarchetti :

Io preferisco – oso dir cosa che farà rizzare i capelli ai pedanti – io preferisco la musica di un organetto, d’un pianoforte, di due o tre strumenti simpatici, alla musica d’una grande orchestra ; preferisco i ritornelli monotoni dei tirolesi, e quelle cadenze lunghe e malinconiche delle canzoni dei montanari ai cori dei nostri melodrammi più famosi. La musica, quale la si sente oggi da noi, quale la si studia e la si insegna, è una cosa tutta di convenzione44.

19Ora, se vista su questo piano, l’operazione di Boito va nettamente oltre, perché le figure allo stesso tempo realistiche e atemporali che sceglie non possono in nessun modo essere identificate col tipo dello scrittore o musicista scapigliato in opposizione alla società. Ciò appare chiaramente nel ritratto dedicato a Gippa, quando il maestro di musica, novello Hans Sachs45, dichiara al narratore : « Lei, signore, deve sapere, che veramente la mia arte è quella del ciabattino, ma tratto anche, così, per mestiere, la musica46 ». Gippa e Barbapedàna, insomma, non sono artisti alle prese con la perdita di aura tipica del sistema culturale della società moderna, ma novelli trovieri e trovatori, « sempre nomadi, migranti, vagabondi » che trattano « l’esistenza come una gita continua nel paese dell’ideale », simili in questo a « un augelletto povero, indipendente, selvaggio, senza padrone e senza miglio47 » (e si ricordi che nel suo Prologo al romanzo La scapigliatura e il 6 febbraio Cletto Arrighi descriveva gli scapigliati come « indipendenti come l’aquila delle Alpi48 »). Queste figure mitiche di menestrelli, tutt’uno con la musica di cui si fanno strumento e interpreti, intende precisare Boito, non sono morti. « Hanno mutata la veste ma vivono ancora49 ».

20Abbiamo già detto che la presentazione di Barbapedàna avviene nella prima sezione della novella. Aggiungiamo qui che l’incontro col musicista è collocato retrospettivamente dal Boito narratore in occasione di una notte d’estate del 1863 trascorsa « in compagnia d’un dotto musicista tedesco e d’un fantasioso poeta lombardo50 » (quest’ultimo riconoscibile, come già notava Nardi51, in Emilio Praga). Impegnati nel mezzo di un’animata discussione intorno all’annosa questione della superiorità dell’arte tedesca o italiana, un motivo centrale nel dibattito musicale e artistico dell’epoca52, i tre decidono di chiudere la serata, su invito sibillino del poeta lombardo (che sa cosa o meglio chi è lì ad attenderli), presso l’Osteria dei Tre Mori. Qui fa la sua apparizione, evocato dallo stesso poeta, proprio Barbapedàna, con una serie di attributi, prima sonori che visivi, che ne palesano da subito la caratterizzazione infera :

Un formidabile strimpellamento rispose all’evocazione del poeta, uno scoppio di corde armoniche sgominate e percosse come se mille cetere fossero ruinate in averno capitombolando giù dallo scalone del paradiso. […]. Pensai udendo un tale baccano a non so quali arpe sataniche53.

21Coerentemente con la natura demoniaca tradizionalmente associata allo strumento54, Barbapedàna esibisce via via, nel corso di un concerto improvvisato per gli avventori dell’Osteria, una capacità musicale non solo fuori dal comune ma addirittura soprannaturale, perché in grado di entrare in diretta comunicazione con gli elementi naturali :

La sua nota vagava attraverso ogni sorta di metempsicosi, la ballata diventava fantasia, la musica lirica si trasformava in musica indipendente (come la chiama Hegel), l’idea del Barbapedàna rassomigliava a quel mito dell’India chiamato avatare. […]
Un turbine d’intervalli cromatici veloci come il vento, dispersi come la tempesta, scoppiarono dalla chitarra ; quest’arruffìo di accordi portentosi e violenti crebbe, s’enfiò, si dilatò, sempre più, sempre più, fin che giunto all’estremo sforzo possibile del fragore, il tuono dell’uragano già annunziato dal lampo, lo continuò rimbombando nell’aria e soffocandolo.
Un urlo di ammirazione escì dalle nostre bocche al duplice scoppio della chitarra e del cielo. Compresi allora che la sinfonia di Barbapedàna non era altro che una riproduzione musicale di quella bufera d’estate. […]
Tratto tratto la scena s’illuminava al fulgore d’un lampo, allora si scorgeva per un attimo Barbapedàna, trionfante, ispirato, fiero, irridente alla pioggia come il Capanèo dell’
Inferno dantesco55.

22La rappresentazione faustiana del personaggio raggiunge, nell’immagine di Capanèo che chiude questo brano, il suo apice. Dinanzi a un tale spettacolo, il musicista tedesco, finalmente vinto, saluterà il talento del menestrello : « Un bacio, un bacio, divino Barbapedàna ! […] ch’io ti ammiri e ti baci. Tu sei l’Italia56 ». Quindi, a notte ormai fonda, i tre finiranno col danzare « in cerchio attorno a Barbapedàna come tre falene roteanti attorno ad un lume57 », perché attratti dalla sua forza magnetica.

23Se paragonata con gli altri personaggi della narrativa scapigliata a tema musicale, il cantastorie milanese descrittoci da Boito palesa un evidente punto di contatto nell’assunzione della musica quale elemento di ‘fantasticizzazione’ del testo, quasi si trattasse di un « veicolo del fluido magnetico58 » in grado di soggiogare quanti si trovano sotto la sua azione e di creare un ponte con una dimensione altra, soprannaturale. Nelle novelle scapigliate sopra menzionate questa caratterizzazione della musica ricorre spesso : il canto di Anna Roof, in Riccardo Waitzen, è descritto come capace di « tutti gli effetti, tutte le modulazioni più arcane... » e allo stesso tempo « incomprensibile, direi quasi […] pauroso59 » ; mentre nel racconto Bouvard, sempre di Tarchetti, la musica prodotta dal violinista sul cataletto di Giulia è un’« armonia soprannaturale » che racchiude in sé tutta la natura60. L’immagine torna anche ne La tromba di Rubly di Ghislanzoni, la quale desta, infatti, un misto di ammirazione e terrore in chi l’ascolta grazie ai suoi « squilli di un fascino sovrumano61 ». E lo stesso vale, volendo citare un ultimo esempio tra i molti possibili, per « la burrasca di note », simile a « collera celeste62 » che uccide alla fine de La canzone di Weber il conte di Montasauron, colpevole di aver sacrificato la figlia sull’altare di un matrimonio ingiusto.

24Ciononostante - e sta qui la differenza con Boito - se Barbapedàna sembra incarnare un perfetto dominio dell’espressione artistica, fino alla fusione totale con essa (« la ballata cantava Barbapedàna e Barbapedàna cantava la ballata63 »), i musicisti degli altri racconti scapigliati vanno tutti, indistintamente, incontro a un destino nefasto, sia esso di morte o di follia. Questo perché per essi, come scrive Mangini a proposito di Tarchetti, « l’arte è, più di ogni altra cosa, presenza di un’assenza che incessantemente rimanda ad un’inafferrabile, indefinibile, fantasticata anteriorità […] ; è la rimuginazione di un lutto insuperato e insuperabile64 ». Presi nella morsa del conflitto con una società rispetto alla quale si sentono estranei, e incapaci di raggiungere quell’ideale che pure agognano, gli scapigliati si servono della metafora musicale per mettere in scena il « lutto insuperato » che è alla base della loro poetica, e che proprio nel Boito lirico degli anni Sessanta aveva trovato un formidabile cantore. Eppure, nulla di tutto ciò in questa novella, dove le tentazioni della morte o della follia, pure presenti in altre prove di Boito (basti pensare a L’alfiere nero o Il pugno chiuso), vengono qui significativamente disinnescate attraverso il ricorso all’umorismo e al riso. Lo mostra bene questo passaggio, tratto sempre dal profilo di Barbapedàna e costruito sull’opposizione tra uomo e natura :

Era una lotta fra il genio della creazione e il genio dell’uomo. […] Incredibile a dirsi, l’uomo in quella lotta pareva il vincitore. Tutta la violenza veniva dall’uragano ma tutta l’ironia veniva dall’uomo, il cielo mugghiava, ma l’uomo rideva ; il vero trionfatore non è quello che offende ma quello che ride. Ai fischi frenetici del vento il menestrello rispondeva trillando65.

25Una dichiarazione di poetica ? Anche sulla base del riferimento autoironico al Mefistofele che troviamo nella sezione dedicata a Gippa - il maestro di mandolino fa infatti riferimento, a un certo punto, al « Semistofele » che fu « una vera boiacada66 » -, è forte la tentazione di scoprire, in questo menestrello che risponde « trillando » ai « fischi frenetici del vento », un travestimento dello stesso Boito, impassibile (come pure lo restituiscono alcune cronache dell’epoca67) di fronte al fiasco della sua opera più ambiziosa. Ma al di là del riferimento puntuale, il riso di Barbapedàna sta soprattutto a indicare, ci sembra, la possibilità di una « letteratura del male68 » finalmente aliena da ogni tragicità, perché capace di dominare, grazie al ricorso al riso e all’umorismo, il dissidio dualistico di cui di lì a poco sarebbe rimasto vittima, nel suo perverso intreccio tra arte e vita, l’amico Emilio Praga. Se letta in questo senso, allora, La musica in piazza può essere forse considerata, nell’itinerario del Boito scrittore, una sorta di divertito atto di congedo dalla fase della bohème giovanile, qui parodiata attraverso il trattamento ironico di alcuni motivi topici della narrativa scapigliata coeva.

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1 Queste le puntate : 20 febbraio 1870 (La cornice dei ritratti), 27 febbraio, 3, 17 aprile e 15 maggio 1870 (Barbapedàna) ; 14, 21 maggio e 4, 11 giugno 1871 (La scuola del Gippa).

2 Così troviamo esplicitato nell’Indice delle materie principali per l’anno 1870, durante il quale furono pubblicate le prime quattro puntate della novella. La Gazzetta musicale, fondata nel 1842 da Giovanni Ricordi, e rilanciata nel 1866 dal figlio Giulio dopo un’interruzione di qualche anno (1862-66), era allora diretta da Antonio Ghislanzoni, eclettica e interessante figura della Scapigliatura milanese (per un approfondimento cfr. AA.VV. L’operosa dimensione scapigliata di Antonio Ghislanzoni : atti del Convegno di studio svoltosi a Milano, a Lecco, a Caprino Bergamasco nell’autunno 1993, Milano, Istituto per la storia del risorgimento italiano, Lecco, Associazione Giuseppe Bovara, 1995 ; e Roberta Colombi, Un umorista in maschera. La narrativa di Antonio Ghislanzoni (1824-1893), Napoli, Loffredo University Press, 2012). Tra i collaboratori del giornale di questo periodo, assieme ad autori come Emilio Praga, Luigi Gualdo o Salvatore Farina, futuro direttore del foglio, troviamo naturalmente lo stesso Boito, così presentato nell’articolo inaugurale per il 1870 : « E qual è in Italia il critico musicale di qualche fama, che non sia iscritto nell’elenco dei nostri collaboratori ? Il D’Arcais, il Mazzucato, il Filippi, il Casamorata, il Mariotti, il Boito, il Perelli, il Cimino ed altri distintissimi, alternano nelle nostre colonne la critica sapiente alla briosa rassegna degli spettacoli teatrali » (« Ai nostri lettori », Gazzetta musicale, 1, 2 gennaio 1870).

3 Essa non compare, ad esempio, nella raccolta Le novelle a cura di Pugliese del 1998 (Firenze, Loggia de’ Lanzi) ; o in quella, con riferimento stavolta al contesto francese, intitolata Idées fixes, trop fixes del 2007 (Paris, Les Éditions du Sonneur) per la traduzione di Parsi e Favier.

4 Vd. Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, pp. 570-1.

5 Basti pensare alle lunghissime digressioni o parentesi saggistiche che si trovano in alcuni romanzi o novelle di Tarchetti, come L’innamorato della Montagna, di cui diremo in seguito.

6 Arrigo Boito, Lettere inedite e poesie giovanili, a c. di F. Walker, Siena, Ticci, 1959, « Quaderni dell’Accademia chigiana », p. 32.

7 Osserva Villa (Arrigo Boito, Opere letterarie, p. 662) che qui Boito fa riferimento, trasfigurandolo, a Enrico Molaschi, musicista e cantastorie nato nel 1823 a Milano che doveva appunto la sua fama alla canzone popolare del Barbapedanna, di cui sono riportati nella novella due versi : « Barbapedàna el gaveva on gilè / Rott per denanz e strasciaa per dree » (Arrigo Boito, Opere letterarie, p. 242). Informazioni su Molaschi-Barbapedàna ci vengono in particolare da Cletto Arrighi, che al cantastorie dedica un profilo nel volume collettivo Il ventre di Milano del 1888 : « Il soprannome di Barbapedanna gli venne a Paullo da quella canzone ch’egli cantava agli avventori con bellissima espressione, prima di cominciare a crearne per proprio conto » (AA.VV., Il ventre di Milano. Fisiologia della capitale morale, introd. di E. Ghidetti, Milano, Longanesi, 1977, pp. 212-3).

8 Arrigo Boito, Lettere inedite e poesie giovanili, a c. di F. Walker, Siena, Ticci, 1959, p. 32.

9 Con l’eccezione di alcuni passaggi della novella Il pugno chiuso, pubblicata non a caso in contemporanea con La musica in piazza (dicembre 1870).

10 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 235.

11 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 259.

12 Achille Bizzoni, « Pane ! Pane ! », Gazzettino Rosa, 23 ottobre 1871.

13 Sotto una lente sociale può essere letta anche questa descrizione del ballatoio dell’edificio in cui si trova la scuola del Gippa : « Le porte delle promiscue camerette s’aprivano sul transito della ringhiera, ed io tenevo in rispetto i miei occhi affinché non isbirciassero troppo nella penombra di quei focolari, per tema d’offendere involontariamente qualche bisognosa fierezza » (Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 261).

14 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 236.

15 Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 1, p. 267.

16 Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 1, p. 268.

17 Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 2, pp. 22-3.

18 La Direzione, « Polemica letteraria », Figaro, 4 febbraio 1864 ; si legge in Giuseppe Farinelli (a c. di), La pubblicistica nel periodo della scapigliatura : regesto per soggetto dei giornali e delle riviste esistenti a Milano e relativi al primo ventennio dello Stato unitario (1860-1880), Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1984, p. 408.

19 Vd. l’Introduzione ad Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, in particolare le pp. 11-36 ; e Angela Ida Villa, « Arrigo Boito teorico e poeta scapigliato », Otto/Novecento, 18/2, 1994, pp. 135-95.

20 Orso [Felice Cameroni], « La Scapigliatura del “Gazzettino” », Gazzettino Rosa, 26 novembre 1870 ; si legge in Giuseppe Farinelli (a c. di), La pubblicistica nel periodo della scapigliatura, p. 518.

21 Non a caso dalla stampa scapigliata più schierata e ‘realista’, secondo il paradigma zoliano che si diffonderà in Italia a partire dalla metà degli anni Settanta dell’Ottocento, Boito sarà sempre considerato come un autore strambo, « consorte fino al midollo » (N. 888, « L’ “Amleto” alla Scala », Gazzettino Rosa, 10 febbraio 1871 ; si legge in G. Farinelli (a c. di), La pubblicistica nel periodo della scapigliatura, p. 519) e alquanto retorico, trincerato dietro la figura di un dualismo impossibile (« l’essere luce ed ombra, angelo e demonio, verme e farfalla, mansueto e violento, amante d’un’arte splendida e amante di un’arte reproba, cristiano e ateo, monarchico e repubblicano […] non è possibile » ; Girolamo Ragusa Moleti, « Noterelle sul libro dei versi di Arrigo Boito », La Farfalla, 14 aprile 1878 ; si legge in Giuseppe Farinelli (a c. di), La pubblicistica nel periodo della scapigliatura, p. 358). A fabbricare quest’immagine contribuì, oltre che l’opposizione funzionale con Praga, lui sì cooptato (soprattutto post mortem) tra le fila della Scapigliatura realista, anche il sostegno ricevuto dalla cosiddetta consorteria delle tre F (Paolo Ferrari, Leone Fortis, Filippo Filippi) in occasione della prima del Mefistofele.

22 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 662.

23 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 235.

24 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, pp. 259-60.

25 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 55.

26 L’immagine delle rocche quali « radici cariate », « denti del feudalesimo malamente strappati », richiama quella ironica della poesia Mal di denti di Emilio Praga : « In un dente che somiglia / A una torre rovinata » (Emilio Praga, Poesie, a c. di M. Petrucciani, Bari, Laterza, 1969, p. 177).

27 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 260.

28 Tommaso Pomilio, Asimmetrie del due. Di alcuni motivi scapigliati, Lecce, Piero Manni, 2002, p. 113.

29 Per un’analisi di questo componimento, vd. Arnaldo Di Benedetto, « “Case nuove” o le rovine di Milano », in MORELLI Giovanni (a c. di), Arrigo Boito, Venezia, Leo S. Olschki, 1994, pp. 15-33.

30 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 57.

31 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 58.

32 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 236.

33 Tale è la linea principale dell’interpretazione di Villa nel commento alla novella, nella sua edizione delle Opere letterarie. Su questo osserviamo però con Buroni che tale lettura gnostico-massonica « senza dubbio suggestiva e intrigante, […] mette in secondo piano » se assunta in maniera totalizzante « altre importanti prospettive ermeneutiche e […] corre il rischio di trascurare il più complesso e sfaccettato polimorfismo della produzione boitiana » (Edoardo Buroni, « La critica su Arrigo Boito, letterato e musicista. Proposta per una rassegna bibliografica », Studi sul Settecento e l’Ottocento, 6, 2011, p. 145).

34 Quelli che seguono sono soltanto alcuni tra i numerosissimi esempi che si potrebbero fare. In ambito scapigliato, probabilmente sulla scia di alcuni racconti di Hoffmann, scrissero infatti novelle d’argomento musicale anche Faldella, Cagna e Fontana.

35 Lungo racconto d’impronta sterniana, L’innamorato della montagna fu pubblicato per la prima volta in La settimana illustrata, 1869. Esso racconta dell’amore sublimato in musica di Giovanni per Fiordalisa, precipitata tra le forre di una montagna e continuamente rievocata dal primo, in una sorta di compiaciuto e solitario struggimento, attraverso il linguaggio musicale. La musica entra in maniera preponderante anche nei tre racconti di cui consta la raccolta Amore nell’arte (Lorenzo Alviati, Riccardo Waitzen e Bouvard), pubblicati per la prima volta insieme presso Treves nel 1869, ma già usciti singolarmente nella Palestra musicale del 1867 (Lorenzo Alviati) e nella Gazzetta musicale tra il luglio e il dicembre 1866 (Riccardo Waitzen, Bouvard). Lorenzo Alviati è un musicista ossessionato dall’idea dell’arte pura, intravvista dapprima nella tisica Adalgisa, quindi nella statua della Venere de’ Medici, fino alla morte in manicomio ; Riccardo Waitzen è un pianista che attraverso l’amore di Anna, cantante anche lei malata di tisi (ça va sans dire), acquista un talento sovrumano, salvo poi pagarne lo scotto con la morte quando questi non rispetta il patto di fedeltà contratto con la stessa Anna. Bouvard è invece un violinista brillante ma deforme nell’aspetto che cerca la pienezza dell’esistenza nell’amore per la bella Giulia, la quale però lo respinge. Il racconto si chiude con Bouvard che muore tragicamente dopo un macabro amplesso post mortem con quest’ultima.

36 La troviamo nella raccolta Racconti incredibili del 1868 (Milano, Uff. generale di commissioni ed annunzi). Una scelta delle novelle musicali ghislanzoniane si può leggere oggi in Antonio Ghislanzoni, Autobiografia di un ex-cantante e altri racconti musicali, Roma, Neoclassica, 2016.

37 Sul rapporto tra Boito e Gualdo, cfr. Pierre de Montera, Luigi Gualdo (1844-1898), Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1993.

38 Nel racconto la musica (si tratta appunto di una canzone di Weber) costituisce il simbolo dell’amore tra la giovane Ida, figlia del conte di Montsauron, e il suo maestro di pianoforte Paolo. Questa stessa canzone si trasformerà in strumento di morte quando, dopo la morte di Ida a causa di un matrimonio infelice contratto contro il suo volere, tornerà a visitare il padre di lei in un’ultima e tragica scena finale. Tra le Novelle di Gualdo d’argomento musicale va segnalata, stavolta su un registro più ironico e distaccato, anche Un’allucinazione.

39 Arrigo Boito, Lettere inedite e poesie giovanili, a c. di F. Walker, Siena, Ticci, 1959, « Quaderni dell’Accademia chigiana », p. 32.

40 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 229.

41 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 229.

42 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 230.

43 Daniela Bombara, « La nuova musica degli scapigliati contro la mercificazione della società postunitaria nelle novelle di Ghislanzoni, Fontana e Cagna », in Elena Pirvu (a c. di), Presente e futuro della lingua e letteratura italiana : problemi, metodi, ricerche. Atti dell’VIII Convegno internazionale di Italianistica dell’Università di Craiova, Firenze, Franco Cesati, 2017, p. 486.

44 Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 2, p. 154.

45 « Avevo d’innanzi gli occhi vivo o redivivo il leggendario ciabattino-musicista, avevo di fronte Hans Sachs, il Menestrello di Nurimberga rinato a Porta Ticinese ! » (Arrigo Boito, Opere letterarie, p. 266). L’identificazione, tra omaggio e ribaltamento ironico, è qui ovviamente col poeta calzolaio de I maestri cantori di Norimberga di Richard Wagner. Cfr. anche il commento di Villa in Arrigo Boito, Opere letterarie, p. 681.

46 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 266.

47 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, pp. 232-3.

48 Cletto Arrighi, La scapigliatura e il 6 Febbrajo (un dramma in famiglia). Romanzo contemporaneo, a c. di R. Fedi, Milano, Mursia, 2018, p. 27.

49 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 234.

50 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 236.

51 Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, Milano, Mondadori, 1942, p. 324.

52 Su questa amplissima questione, con particolare riferimento al wagnerismo e all’antiwagnerismo di Boito, cfr. Adriana Guarnieri Corazzol, « Scapigliatura e musica : il primo “Mefistofele” », in Giovanni Morelli (a c. di), Arrigo Boito, Venezia, Leo S. Olschki, 1994, pp. 213-231. Una curiosa e grottesca traduzione di questo tema si trova anche nel racconto di Ghislanzoni Il violino a corde umane, giocato sulla contrapposizione tra Paganini e il violinista tedesco Franz.

53 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, pp. 239-40.

54 Vd. a tal proposito la novella Il demone muto di Camillo Boito, tutta incentrata sul motivo del potere fantastico e infernale della chitarra.

55 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, pp. 243-47.

56 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 250.

57 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 251.

58 Morena Corradi, Spettri d’Italia : scenari del fantastico nella pubblicistica postunitaria milanese, Ravenna, Longo, 2016, p. 77.

59 Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, , a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 1, p. 616.

60 « Vi erano in essa tutte le voci della natura, vi era il bisbiglio del vento e l’aleggiare dell’uccello, il sussurro dei piccoli steli e il fremere dei grandi fusti dei cerri, lo scorrere del filo d’acqua e il frangersi delle onde dell’oceano, - vi era tutto ciò che il suono ha di aspro e di dolce, di soave e di orribile ». (Igino Ugo Tarchetti, Tutte le opere, , a c. di E. Ghidetti, Bologna, Cappelli, 1967, vol. 1, p. 659).

61 Antonio Ghislanzoni, Autobiografia di un ex-cantante e altri racconti musicali, Roma, Neoclassica, 2016, p. 64.

62 Luigi Gualdo, Romanzi e novelle, a c. di Carlo Bo, Firenze, Sansoni, 1959, p. 149.

63 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 243.

64 Angelo M. Mangini, La voluttà crudele : fantastico e malinconia nell’opera di Igino Ugo Tarchetti, Roma, Carocci, 2000, p. 81.

65 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 247.

66 Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di A. I. Villa, Milano, Istituto Propaganda Libraria, 1996, p. 271.

67 Si veda ad esempio questa lettera di Tenca alla contessa Maffei, citata da Piero Nardi, Vita di Arrigo Boito, p. 276 : « Un amico e collega che assistette alla prima rappresentazione del Mefistofele, mi disse d’essere stato colpito dal contegno del Boito e dalla specie di sorriso con cui accolse le disapprovazioni del pubblico ». 

68 Francesco Spera, « Le sperimentazioni poetiche di Boito », in Giovanni Morelli (a c. di), Arrigo Boito, Venezia, Leo S. Olschki, 1994, p. 2.

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Pour citer cet article

Francesco Bonelli, « Su alcuni motivi scapigliati ne La musica in piazza di Arrigo Boito », paru dans Loxias-Colloques, 17. Arrigo Boito cent ans après, Su alcuni motivi scapigliati ne La musica in piazza di Arrigo Boito, mis en ligne le 30 mai 2020, URL : http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1613.


Auteurs

Francesco Bonelli

Francesco Bonelli est docteur en études italiennes. En octobre 2019, il a soutenu une thèse en cotutelle (Université Grenoble Alpes ; Università Cattolica del Sacro Cuore de Milan) portant sur le mouvement milanais de la « Scapigliatura democratica ». Il travaille sur les rapports entre littérature, journalisme et politique aux XIXe et XXe siècles.