Loxias-Colloques |  17. Arrigo Boito cent ans après 

Laura Nay  : 

« Un meraviglioso problema di scienza », « un fatale argomento di dramma » : “Il pugno chiuso” di Arrigo Boito

Résumé

Le poing fermé de Arrigo Boito
La nouvelle « Le poing fermé », d’Arrigo Boito, révèle de nombreuses pistes interprétatives : on pourrait la considérer comme un récit fantastique, un compte rendu scientifique aussi bien que comme un conte ésotérique. Cet article se propose de montrer qu’aucune des possibles hypothèses interprétatives ne peut être exclue de façon définitive : au contraire, elles coexistent et résonnent avec la même intensité en dialogue avec les autres œuvres de cet auteur.

Abstract

"A wonderful problem of science”, "a fatal subject of drama": Arrigo Boito’s Il pugno chiuso
Arrigo Boito's short story "The Closed Fist" reveals many interpretative leads: it could be considered a fantastic tale, a scientific account as well as an esoteric tale. This article proposes to show that none of the possible interpretative hypotheses can be definitively excluded: on the contrary, they coexist and resonate with the same intensity in dialogue with the author's other works.

Riassunto

« Storia fantastica», oppure racconto della « condition seconde », della « malattia dell’Altro » ? Resoconto scientifico di un caso di « stimmatizzazione » quale « reazione delle idee sull’organismo », oppure « stigmata diabolica » che rimanda a interpretazioni esoteriche ? Sono queste alcune delle domande che la quête attorno alla quale Boito intesse la sua sapiente tela narrativa ci pone, piste aperte ch’egli si diverte a tracciare lasciando al lettore la scelta di percorrerle fino in fondo oppure abbandonarle. L’intervento si propone di dimostrare come Il pugno chiuso appaia, nell’universo creativo boitiano, una galassia di pianeti-temi che, da un lato, dialogano con le altre opere di questo autore e dall’altro – grazie all’attenta architettura narrativa e all’accurata quanto suggestiva scelta lessicale di Boito – invitano il lettore, di pagina in pagina, se non di riga in riga, a interrogarsi, a formulare ipotesi interpretative che non si escludono mai ma, al contrario, convivono e risuonano tutte con pari intensità.

Index

Mots-clés : Boito (Arrigo) , ésotérisme

Keywords : Boito (Arrigo) , esotericism

Palabras claves : Boito (Arrigo) , esoterismo

Texte intégral

« Un meraviglioso problema di scienza » : la chiave per interpretare Il pugno chiuso di Arrigo Boito è, a mio giudizio, riassunta in questa battuta pronunciata fra sé e sé dal medico-voce narrante in quella che, per comodità, chiamerò la cornice del racconto. Diverse ragioni mi suggeriscono tale lettura, a partire dall’essere questa frase nelle prime pagine, quasi a indicare fin da subito al lettore, naturalmente ‘collaborativo’ come piace a Boito1, due possibili interpretazioni, quella scientifica e quella letteraria, formulate entrambe dallo stesso personaggio, o meglio da un personaggio che assume su di sé anche il punto di vista dell’autore e quindi offre qualcosa di più di una narrazione in prima persona. Non solo : se prestiamo attenzione ai singoli vocaboli notiamo come la frase sia sapientemente costruita in modo da dar voce a entrambi, al narratore come al personaggio : così ciò che per lo scienziato è « meraviglioso2 » per il letterato è « fatale », ciò che per lo scienziato è un « problema », per il letterato è un « argomento » e infine ciò che per lo scienziato è « scienza », per il letterato è « dramma3 ».

Se scorriamo le pagine che precedono questa frase, troviamo ulteriori conferme all’essere il personaggio del medico una sorta di doppio dell’autore stesso, a partire dalla citazione dantesca posta in epigrafe : Boito, è noto, ama Dante, ma non è questo che ora interessa, quanto piuttosto notare come questa terzina, tratta dal VII dell’Inferno, sia citata qui in modo parziale e venga poi ripresa, e completata, in uno di quei passaggi parentetici creati da Boito per consentire al medico-narratore di intervenire durante il racconto di Paw e di non abbandonare mai così la scena narrativa. La ripresa avviene nella parte centrale del Pugno chiuso (nel racconto di secondo grado) quando, osservando Paw, al medico torna alla mente (« simile al girare d’un aspo ») proprio questa terzina dantesca, che letta nella sua interezza, colloca accanto a coloro che risorgono « col pugno chiuso », ovvero gli avari, palese richiamo al personaggio di Levy, « quelli » che risorgono « co’ crin mozzi », ovvero i prodighi4. Ma a chi sta pensando Boito ? A Paw i cui capelli, di « smisurata lunghezza », sono acconciati come una mitria di plica, « signum diaboli ?5 ». E dove si mostrerebbe la sua prodigalità ? Nella « volontà di donare la sua preziosa moneta al medico », come ritiene Angela Ida Villa6 ? O forse è la bramosia di possedere il fiorino ciò che accomuna i due personaggi, che li rende comunque colpevoli e li condanna a morire, il che potrebbe spiegare le parole del medico quando, un attimo prima che gli torni alla mente la terzina dantesca, non sente più ciò che Paw gli sta raccontando, perché troppo intento a osservarlo (verbo fondamentale per capire che genere di medico abbiamo di fronte) per cogliere « il doppio fondo della sua leggenda7 ».

L’incipit del racconto offre poi ulteriori appigli al fine di chiarire il rapporto tra il personaggio e l’autore : innanzitutto Boito indica con precisione il mese, l’anno (settembre 1867) e il luogo (la Polonia) in cui si svolge il racconto e, come è noto, Arrigo era effettivamente in quella terra in quell’anno e proprio lì iniziò la stesura del Pugno chiuso8. Al suo personaggio Arrigo deve poi attribuire un motivo per compiere questo viaggio : l’oggetto della « missione » diviene quello di studiare la « plica polonica9 », una patologia nota in quegli anni, ma di cui ancora poco si sapeva (la ricerca alimentata dal desiderio di indagare ciò che ancora non si conosce pienamente, senza il timore di doversi confrontare con l’ignoto, come insegna Rosemary Jackson10, è alla base della narrativa fantastica). L’azione dunque si apre al Santuario di Czenstokowa durante la festa della Madonna nera, ovvero in un luogo in cui si davano appuntamento molti mendicanti affetti da questo morbo : è importante che il primo gesto compiuto dal medico sul sagrato della chiesa sia quello di gettare loro una « moneta di rame », provocando un « confuso allacciamento di persone » dal quale emerge Paw, il « rosso » – questo è il colore della sua orrenda capigliatura – il « maledetto », il « patriarca », il « ladro dei poveri », perché possiede qualcosa che gli altri non hanno, ovvero « il fiorino rosso di Levy11 ». Così Boito menziona nella cornice l’oggetto attorno al quale ruota la vicenda (il prezioso fiorino di cui la moneta lanciata dal medico è una sorta di anticipazione) e colui che sarà il protagonista del racconto nel racconto, Levy, l’avaro. Paw, dopo aver lasciato cadere la moneta di rame, si allontana sotto una « una tempesta di ciottoli e di bestemmie » seguito « a trenta passi di distanza » – il particolare è importante – dal medico diviso fra la « pietà » per quello sciagurato e l’« egoismo della curiosità » che più si addice a un uomo di scienza12 : è a questo punto della narrazione che egli formula fra sé e sé la frase da cui siamo partiti. Un attimo prima di essere raggiunto dal medico, Boito raffigura Paw mentre alza al cielo il pugno destro, quello sigillato, « in atto di rivolta e di dolore13 » ; novello Capaneo, lo ha definito Villa, sebbene le cifre di questo personaggio siano più la disperazione e la paura14 : « paurosamente15 » infatti egli accetta i dieci kopiechi che il medico gli offre ora e decide di seguirlo alla taverna. Nuovamente insomma le monete svolgono la funzione di creare un rapporto tra i personaggi del racconto.

Inizia ora la seconda sequenza della novella di primo grado, che non ha più come sfondo il santuario, bensì una taverna « degna del dialogo che stava per incominciare16 », perché quanto verrà narrato non appartiene certo alla religione. Per consentire questo radicale cambio di sfondo, Boito introduce una breve pausa descrittiva, un idilliaco tramonto (« i lembi del colle erano immersi in un’ombra fresca, azzurrina che saliva lentamente come una tranquilla marea ») accompagnato da una lieve « brezza della sera » che « soffiava e […] scuoteva i capelli sul viso », quelli del medico ovviamente, perché la « chioma » di Paw, al contrario, « resisteva al vento come una roccia17 ». È nella taverna dunque che Paw, « il fantasma del Terrore », racconta allo straniero due « lunghe storie18 », o meglio una sola lunga storia che lo vede protagonista insieme a Levy. Un attimo prima che il mendicante prenda la parola però è il medico, al solito con un intervento posto tra parentesi, a descriverne lo stato d’animo, diviso tra l’attrazione per «l’Orrido» e la sofferenza che il raccontare provoca a Paw, ed è sempre lui a farci sapere che quanto stiamo per leggere è frutto di una puntuale trascrizione sul suo inseparabile taccuino, sul quale generazioni di letterati registreranno i loro “documenti umani” : « io non attenuerò qui menomamente il carattere bieco del suo stile, – quello di Paw s’intende – trascriverò la storia di Levy come l’udii narrare io stesso da quel mendicante », afferma il medico19. Ed ecco la storia di Levy, « l’ebreo senza sabato20 », di cui si dice subito che viveva secondo un calendario scandito su trenta ore così da risparmiare due giorni di cibo : nuovamente il numero trenta (trenta erano i passi che separavano il medico da Paw), numero fisso in Boito, lo ha spiegato Villa, che richiama le Homiliae e le Recognitiones pseudoclementine per ricordare come trenta fossero i discepoli che formavano una setta, il che vorrebbe dire che il medico, Paw e Levy condividono qualcosa di molto profondo in questo racconto21.

A Levy, ci racconta Paw, manca un fiorino d’oro per arrivare alla sospirata somma di un milione (nuovamente una moneta come motore dell’azione, motore tanto più forte nella misura in cui qui la moneta non c’è) e decide di andare a prenderlo da uno studente suo debitore di un tempo, ma ormai morto, che gli doveva un « fiorino rosso22 ». Nella mente di Levy quella preziosa moneta diventa presto una idea fissa23, che Boito ci racconta non appellandosi al lessico scientifico, ma attraverso delle metafore : la prima, su cui si è soffermata la critica, paragona il fiorino rosso nella mente di Levy a « un ragno nel mezzo della sua tela24 » (il rosso è « connotazione diabolica », così come il ragno « nell’iconografia cristiana è l’immagine del male », chiarisce Villa25) ; la seconda nasce da un fenomeno che appartiene all’esperienza di tutti noi, quello della « macchia ritonda che resta nella pupilla dopo aver fissato il sole26 », la cui intensità è paragonata al brillìo della moneta nella mente dell’avaro. Difficile non pensare qui al racconto di Camillo Boito, Macchia grigia, all’incirca di dieci anni più tardo rispetto al Pugno chiuso, un racconto che, per rifarsi a Todorov, apparterrebbe però alla categoria dello « strano », ovvero può essere ricondotto « a fatti noti, a un’esperienza precedente, e, di conseguenza, al passato », « relativamente ristretto e recente27 ». Ma tornando alla nostra novella, a mio avviso, scegliendo questa seconda metafora, Boito compie una sorta di mise en abîme di quello che avverrà, sottraendo, un attimo prima dell’apparizione fantasmatica, la vicenda di Levy al dominio del « fantastico » puro. A questo punto, infatti, accade qualcosa che sembra orientare risolutamente il racconto in tal senso : a saldare il debito, si presenta in sogno a Levy il fantasma dello studente. Ora tocca a Levy tremare di paura (« l’emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto », scrive autorevolmente Lovecraft28) trema sì, ma non al punto di non accogliere l’invito, ripetuto per tre volte dal fantasma, a stringere il fiorino nella mano sinistra, la mano del male in magia nera. Il fiorino, che qui svolge la funzione di oggetto mediatore fra il mondo dei vivi e quello dei morti, sembra quindi essere sigillato in un pugno che si chiude per non riaprirsi più ; eppure, anche questa volta29, accanto alla spiegazione fantastica, con pari forza, si attesta quella scientifica che rimanda ai celebri studi quali L’automatisme psychologique di Janet, dove si analizzano anche casi di « pugno serrato », o Les altérations de la personnalité di Binet, in cui lo spiritismo è spiegato alla luce di forme di « désagregation mentale et de dédoublement de la personnalité 30 ».

A questo punto Paw si arresta per consentire al medico di intervenire e osservare come, per la terza volta, il mendicante afferri il bicchiere con la mano sinistra tenendo la destra nascosta. Inizia così la seconda parte del racconto nel racconto, quella in cui Boito fa sfilare una teoria di personaggi che a vario titolo cercano di aprire il pugno di Levy, personaggi introdotti da Mastro Wasili, « dottore, professore, antiquario, numismatico, paleologo, chimico » o, più semplicemente, « ladro31 ». Con lui Levy stringe un patto (siglato dal termine « top » il medesimo impiegato da Mefistofele nell’omonimo libretto, come ha sottolineato Villa32) un patto che si basa sull’ipotesi che « qualche diavolo o qualche chirurgo » avrebbe, nel lasso di tempo di tre mesi, aperto quel pugno33. Sono ben cinque i dottori che propongono a Paw rimedi che non sortiscono alcun effetto, fino a quando, ed è questo che ci interessa, l’« Ebreo senza sabato » giunge a Parigi presso un « famosissimo medico34 », al quale Boito affida il compito di anticipare la conclusione del racconto. Non tragga in inganno la soluzione che questi ironicamente propone – amputare l’arto – soluzione che avrebbe nuovamente fatto pendere l’ago della bilancia verso il registro fantastico (quello del « double trasformativo » di cui discute Neuro Bonifazi per Storia di una gamba35), perché di ben altro valore è la diagnosi che questi formula quando classifica Levy quale perfetto esempio « della reazione delle idee sull’organismo », insomma quale un caso di « stimmatizzazione36 ». Chi si celi sotto le vesti del medico parigino è difficile dirlo, ma francamente penso più a Charcot, il primo psicofisiologo capace di investigare le anime, e alle sue ben note tecniche di sperimentazione ipnotica condotte alla Salpêtrière sulle isteriche (le stimmatizzazioni sono ritenute un sintomo isterico37), piuttosto che a Claude Bernard, come suggerisce Villa38. Tuttavia, ancora una volta, non solo la chiave della scienza può aprire questa porta : sono molti i racconti fantastici che mettono in scena il tema della frammentazione dell’io, della sua lacerazione riflessa nel soma, o meglio ancora, come ha spiegato Vittorio Roda, della autonomizzazione di una parte del corpo, senza alcun possibile recupero dell’unità39. Il pugno chiuso di Levy, come poi quello di Paw, non si ribella infatti al suo proprietario, non ne insidia la totalità, ma svolge una funzione antagonistica, un antagonista caparbiamente passivo, un doppio somatico che incarna quella parte dell’io che era stata messa a tacere. La mano, una delle parti del corpo predilette dagli scrittori fantastici, si chiude per serrare qualcosa che in ultimo scopriremo non esiste, o meglio che non può essere visto, perché quel pugno dà vita e legittimità a una parte dell’io che non si conosce : questo, credo, è l’ignoto che Boito e il suo alter-ego vogliono indagare.

Le parole del « famosissimo medico » dunque cadono pesanti nella mente di Levy e gli regalano un dubbio finanche più potente di un’idea fissa, quello che il fiorino non ci sia mai stato e di essere vittima di « una lunga allucinazione40 » (una sorta di ininterrotta allucinazione ipnagogica si potrebbe dire). Non è allora più tempo di ricorrere al « chirurgo », ma piuttosto al « diavolo41 » ovvero a Mastro Wasili che infatti torna in scena recitando la parte del medico (« lasciatevi curare da me ! », « l’operazione chirurgica è nuova, pure fidati in me, sai come sono sapiente42 ») : Boito lo ritrae prima intento a preparare il farmaco miracoloso (niente di più che una miscela di polvere da sparo) con « pazienza da alchimista e con […] sagacia da chiromante », poi in quello di andarsene con le movenze di una creatura demoniaca, come un « vampiro », dopo aver derubato l’ebreo43. A Levy, miracolosamente sopravvissuto all’esplosione, ormai senza denari e consapevole che nella mano non c’è alcun fiorino, non resta allora che unirsi alla schiera dei mendicanti davanti al Santuario della Madonna Nera. Il racconto di Paw, dunque, riporta il lettore laddove si era partiti e lo duplica, al punto che i due punti di vista, quello del medico e di Paw sembrano per un tratto coincidere. Infatti, come il medico, ora Paw che « all’epoca era guardiano del tesoro della Madonna », prova « pietà » per l’« Ebreo senza sabato » che incontra sempre nel medesimo luogo, il sagrato del Santuario e, a sua volta, lo invita a cenare con lui44. E ancora: come il medico ora Paw ascolta il racconto di Levy, ma arrivato al punto cui deve narrare la morte di costui (Levy si fa esplodere mettendo il pugno pieno di polvere da sparo sul « lumignolo » che arde sotto l’immagine della Madonna45), Boito fa in modo che Paw diventi una sorta di alter-ego dell’ebreo, un suo doppio, mimandone i singoli gesti : a raccontarci tutto questo è il medico, testimone di una sorta di fusione dei due protagonisti, fusione che collabora a rendere sempre più difficile scinderne i ruoli46. È questo, a mio avviso, il punto più alto del gioco narrativo di Boito impegnato a dimostrarci in modo teatrale (quella teatralità che tanto piace ai narratori fantastici) come non esista un solo protagonista o, forse, come ve ne sia uno solo che racchiude in sé personalità differenti. È questa un’ipotesi che trova conforto in un appunto scritto da Boito a margine del progetto Prose da romanzo – « il pugno chiuso bisogna farlo racconto di Levi stesso47 » – appunto che ha suggerito a Ceserani l’esistenza di una prima redazione del testo in cui il racconto di Paw era riportato in forma indiretta, mentre poi Boito avrebbe optato per la forma diretta, quella che oggi leggiamo, privilegiando così, a mio avviso, la coralità di voci (e di personalità)48. Ancora una volta il grande assente, il fiorino, svolge la funzione di oggetto mediatore (non sono convinta che, come scrive Ezio Puglia, si possa parlare di un « “oggetto mediatore” mancato » basandosi sull’idea che il fiorino non esiste, perché la sua funzione non è mai messa in discussione49) e ancora una volta scatta il gioco dell’allucinazione, quella uditiva adesso, perché anche Paw non vede il fiorino, ma avverte « un suono metallico scorrere sul suolo » e « raccoglie nel buio una moneta50 ».

Qui si interrompe definitivamente il racconto di Paw, che nel momento in cui cessa la sua funzione di narratore può uscire di scena (« l’accento di Paw si ruppe in un rantolo e svenne51 ») consentendo al medico di riprendere il posto che gli spetta, secondo una costruzione narrativa che Villa definisce « a cerchi concentrici52 », Rosa « a contrasto53 », e che personalmente ritengo sia il frutto di una sorta di tecnica di montaggio narrativo voluto da Arrigo col fine di raccontare vicende che si illuminano reciprocamente lasciando intatta nel lettore la possibilità di « esitare », come Todorov insegna, o anche di scegliere perché, lo ricorda Irène Bessière, il fantastico non sta nell’esitazione fra due ordini sovrannaturale e reale, ma dalla « juxtaposition des contraires », « des deux probabilités externes, l’une empirique, l’autre métaempirique54 ». Si torna così al presente, al 1867, alla taverna ingentilita adesso in « osteria55 », al medico-voce narrante, che si premura di informare il lettore che ciò che sta uccidendo Paw è scientificamente spiegabile (« un principio d’idropisia al cervello » diventato fatale per le « frequenti libazioni fatte56 »). Il medico fisiologo insomma continua a osservare, come la sua disciplina insegna, come lo stesso Comte nel Cours aveva insegnato57, a raccogliere « indizi », per arrivare alla medesima conclusione del famoso clinico parigino, ovvero che la malattia di Paw, non quella che ora lo sta uccidendo naturalmente, fosse originata dal « contagio dell’allucinazione di Levy », una « fissazione maniaca », ossia quel « fenomeno fisico che i cristiani dell’evo medio chiamavano sugillationes che è una forma della stigmatizzazione58 ». Quindi, fedele al suo ruolo, questi si affretta a sciorinare casi clinici (« una vera e propria lezione storiografica sul fenomeno della suggestione isterica » l’ha definita Comoy Fusaro59) che stanno a dimostrare come tutto ciò che è accaduto sia l’« effetto di un morbo », di una « mania » – piuttosto che non di un « miracolo60 »– e non necessariamente di una mania religiosa (altro argomento molto studiato nella fine ’800, basti citare il celebre Misticismo moderno di Troilo61).

La diagnosi non serve a salvare la vita al malato (« la scienza non avrebbe potuto salvarlo », ammette il medico) ma può rompere la catena del « contagio62 » : e così, davanti a una turba di mendicanti (che ha ricordato a Villa il finale di Iberia63) il medico, armato di uno strumento che certo non gli appartiene, un martello, « infrange » la mano di Paw e dimostra che il fiorino non è mai esistito64. Si tratterebbe, sempre secondo Villa che chiama in causa testi alchemici dove vengono rappresentati gesti analoghi65, di una parodia della scienza, specie della medicina sperimentale, ma forse non solo di sperimentalismo si dovrebbe parlare, ma pure di materialismo, quello evocato dal celebre Salvatore Tommasi nella Prolusione tenuta presso l’Ospedale clinico di Napoli nel 1865, in cui sosteneva che i medici sono « condannati a essere materialisti, in quanto sono medici66 ». Tuttavia, quello che il Pugno chiuso ci racconta non è, a mio giudizio, solo questo : quello che ci racconta è che, alla fine, tanto per Levy quanto per Paw, è l’Altro a vincere (di una « malattia dell’Altro » discute Debenedetti già ricordato da Roda67) e vince nella misura in cui nessuno dei due è disposto ad accettarlo, infatti l’« Ebreo senza sabato » non fa che tentare di eliminarlo e Paw lo subisce. Si tratta di un Altro che possiede una chiara valenza demoniaca, e va notato che frequenti nel racconto sono i richiami al sapere esoterico dell’autore, senza però trascurare che Boito ha giocato con il lettore, mescolando le carte sul tavolo e usando le conoscenze in suo possesso, per costruire un racconto in cui tutto ruota attorno a un’istanza dissociativa. Forse si potrebbe parlare, facendo nostra una definizione di Ponnau, di una « intériorisation du fantastique », ovvero di una letteratura che dà voce ai fantasmi che ognuno di noi porta dentro di sé68. Insomma, se c’è una scienza che esce perdente nel Pugno chiuso, questa è la fisiologia che il narratore-medico incarna (e in tal senso l’Altro vince anche contro di lui), perché pur essendo egli capace di intuire quanto di buono ci sia nella diagnosi formulata dal collega parigino, non è poi in grado di farlo risolutamente suo (si spiega così, a mio avviso, quella lunga serie di esempi di stimmatizzazione testé menzionati). Ciò che questo medico non comprende, ma solo intuisce, è la presenza di quella « condition seconde » di cui Freud discute negli Studi sull’isteria69, e ciò che ancora non possiede sono gli strumenti necessari per intervenire e liberare il malato dagli altri io che vivono in casa sua (è una ben nota metafora freudiana70), se non usando un martello, simbolo di una scienza che ha ancora molta strada da fare. Ed è proprio nel finale che Boito mostra di essere lontano dal suo doppio cartaceo, perché il letterato sa, o meglio intuisce, che adesso è necessario appellarsi a strumenti differenti.

Avevo scritto, alcuni anni fa, che è necessario assumere come periodo spartiacque per studiare il rapporto fra filosofia, medicina e letteratura il tempo che precede l’arrivo di Freud in Italia, quello compreso fra il 1870 e il 190071 : lo credo ancora, ma aggiungo oggi che Il pugno chiuso può essere assunto a pieno titolo fra i testi là indagati che dimostrano come, proprio in quell’epoca, spesso la letteratura abbia anticipato la scienza. Boito insomma ha intuito la presenza e la forza di quell’Altro che prenderà il nome di inconscio, mettendo in campo sapere esoterico, nozioni mediche e capacità di narratore per dar vita a un «vero racconto misterioso», in cui, garantisce Lovecraft, « deve essere presente una certa atmosfera di terrore inesplicabile e mozzafiato verso forze esterne e ignote ; e […] un tocco […] una sospensione malefica e particolare, o una sconfitta, di quelle leggi fisse della Natura che sono la nostra unica salvaguardia contro gli assalti del caos e dei demoni dello spazio inesplorato72 » perché, sono queste parole di Foucault, nessun « progresso della medicina » sarà mai in grado di esorcizzare « il rapporto dell’uomo con i suoi fantasmi, con il suo impossibile, con il suo dolore senza corpo, con la sua carcassa notturna73 ».

Notes de bas de page numériques

1 Nelle novelle di Boito, osserva Rosa, « la richiesta di collaborazione rivolta al lettore elettivo assume toni pressanti e si configura come un supporto di fiducia, capace di sconfiggere la paralisi : la pratica di scrittura si distende come un work in progress a cui l’io leggente è chiamato a partecipare direttamente », Giovanna Rosa, La narrativa degli Scapigliati, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 53 (c.vo dell’autrice). Secondo Angela Ida Villa, Boito avrebbe previsto « due categorie di lettori ideali » : « il primo è il lettore di metà Ottocento ancora conquistato alla sensibilità tardoromantica che, apparentemente assecondando le sue aspettative, viene però di fatto puntualmente preso in giro con l’arma della parodia », « l’altro lettore […] va probabilmente ricercato nel mondo delle società segrete ottocentesche al quale lui stesso apparteneva », Angela Ida Villa, Introduzione in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 19.

2 Arrigo Boito, Il pugno chiuso in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225 (il testo della novella sarà sempre citato da questa edizione). Sul rapporto fra « meraviglioso » e « fantastico », si veda Lucio Lugnani, Per una delimitazione del « genere », in La narrazione fantastica, Pisa, Nistri-Lischi, 1983, pp. 37-73.

3 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225. Come ha osservato Ceserani « “meraviglioso” e “fatale” sono, nella tradizione della letteratura fantastica, a partire da Hoffmann, incompatibili e contrapposti. Alla spiegazione sovrannaturale […] egli – ovvero il medico – contrappone una spiegazione scientifica e psico-neurologica del fenomeno […]. Ma all’accumulo di spiegazioni ed esemplificazioni scientifiche rispondono, nel racconto, la concitazione sempre più forte degli elementi “fatali”, espressi in tono angoscioso e da incubo », Remo Ceserani, Una perfetta novella fantastica, in Arrigo Boito, Il pugno chiuso, con una nota di Remo Ceserani, Palermo, Sellerio, 1981, p. 53.

4 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 230.

5 « Nel discorso simbolico-esoterico sviluppato dalla novella boitiana la malattia della plica viene a configurarsi come il signum dell’eresia gnostica ed in particolare giovannita : plica, dunque, come signum diaboli », osserva Villa, Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 604.

6 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 629.

7 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 230.

8 Un « altrove » geografico e culturale che costringe il personaggio del medico a una « una verifica e una messa in forse delle proprie idee pregresse, solidamente ancorate a un sapere scientifico, orientato positivisticamente », Ilaria Crotti, L’Altrove e i suoi viaggi in Arrigo Boito novelliere, in Un viaggio realmente avvenuto. Studi in onore di Ricciarda Ricorda, a cura di Alessandro Cinquegrani e Ilaria Crotti, Venezia, Edizioni Ca’ Foscari, 2019, p. 120.

9 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 223 (c.vo dell’autore).

10 Rosemary Jackson, Il fantastico. La letteratura della trasgressione, a cura di Rosario Berardi, Napoli, Tullio Pironti Editore, 1992.

11 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 224 (c.vo dell’autore).

12 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225.

13 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225.

14 Il richiamo a Capaneo rimanda, scrive Villa al «prototipo del ribelle», Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 614, 618.

15 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225. Come ha suggerito Comoy Fusaro « quel che agisce sulla mente di Paw è la paura della morte. La nevrosi svolge una funzione paradossale, autopunitiva, che contrasta la fobia : essa si fa vettore di thanatos », Edwige Comoy Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, Approccio epistemologico alle malattie nervose nella narrativa italiana (1865-1922), Firenze, Polistampa, 2007, pp. 316-317.

16 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 226.

17 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 225.

18 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 226.

19 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 226 (c.vo dell’autore).

20 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 227 (c.vo dell’autore).

21 « Questi tre personaggi […] tutti insigniti del numero trenta, vengono a riprodurre lo schema del modello pseudoclementino con una sequenza che ripercorre a ritroso l’ordine dei capi che si alternano in quella setta : in questo modo il medico corrisponde a Simon Mago, Paw a Dositeo, Levy a Giovanni Battista », Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 617.

22 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 227 (c.vo dell’autore).

23 Boito « aveva progettato di raccogliere egli stesso le sue novelle […] in un libro a cui aveva pensato successivamente di dare i titoli […] di Incubi, Prose da romanzo e infine Idee fisse, seguito quest’ultimo da sottotitolo Novelle di Arrigo Boito e dall’epigrafe “Troppo fiso” (Dante, Purgatorio XXXII). Ma non ne aveva fatto nulla, e s’era dato tutto alla poesia e al melodramma », scrive Ceserani in Una perfetta novella fantastica, in Arrigo Boito, Il pugno chiuso, con una nota di Remo Ceserani, Palermo, Sellerio, 198, pp. 47-48. Sulle vicende relative alla pubblicazione del volume di novelle si veda Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 477-483 e Ilaria Crotti, Equilibrismi del «trapezio» fra le carte boitiane, in Arrigo Boito, a cura di G. Morelli, Firenze, Olschki, MCMXCIV, pp. 92-93. In particolare sul complesso iter legato alla pubblicazione della novella, si veda oltre a Ceserani e Villa (Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 603-606) Lorella Anna Giuliani, La catastrofe senza idillio di un’idea fissa : Il pugno chiuso di Arrigo Boito, in La tentazione del fantastico. Racconti italiani da Gualdo a Svevo, a cura di Antonio D’Elia, Alberico Guarnieri, Monica Lanzillotta, Giuseppe Lo Castro, Cosenza, Pellegrini, 2007, pp. 109-112.

24 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 228.

25 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 624.

26 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 228.

27 Tzvetan Todorov, La letteratura fantastica, Milano, Garzanti, 1977, p. 46. Per l’interpretazione di questo racconto si veda ancora Vittorio Roda, I fantasmi della ragione, Fantastico, scienza e fantascienza nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento, Napoli, Liguori, 1996, pp. 38-43.

28 Howard Phillips Lovecraft, L’orrore soprannaturale nella letteratura, in Opere complete, nota biografica di August Derleth, presentazione di Giuseppe Lippi, Milano, SugarCo, 1983, p. 17.

29 Come ha notato Edwige Comoy Fusaro « nel linguaggio analogico del sogno, il rapporto è reciproco : in cambio del fiorino, Levy perde la vita. Difatti, il giorno dopo, appare un sintomo somatico » il pugno chiuso e Levy « persuaso che esso rinchiuda il maledetto fiorino, si sforza di aprire la mano, ma è tutto inutile. Il sogno fa scivolare la sintomatologia dalla sfera psichica a quella corporale », Edwige Comoy Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura, Approccio epistemologico alle malattie nervose nella narrativa italiana (1865-1922), Firenze, Polistampa, 2007, p. 368.

30 Paul Janet, L’automatisme psychologique. Essai de psychologie expérimentale sur les formes inférieures de l’activité humaine, Paris, Alcan, 1889 ; Alfred Binet, Les altérations de la personnalité, Paris, Alcan, 1892, p. 299.

31 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 229.

32 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 628.

33 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 229 (c.vo dell’autore).

34 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 231.

35 Neuro Bonifazi, Teoria del fantastico e il racconto fantastico in Italia : Tarchetti-Pirandello-Buzzati, Ravenna, Longo editore, 1982, p. 103.

36 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 231 (c.vo dell’autore).

37 Charcot viene descritto in un articolo di inizio ‘900 come « il primo medico moderno » perché capace non solo di « somministrare […] pillole o […] purganti », ma d’essersi fatto « investigatore di anime » e « risanatore dello spirito », Cipriano Giachetti, Charcot artista, in Nuova Antologia, vol. 198, nov. 1904, pp. 119-124.

38 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 630.

39 « Racconto fantastico a pieno titolo » è, secondo Roda, quello di Boito in cui la mano che « si autonomizza senza separarsi » dà vita a un « antagonista collocato non all’esterno, ma all’interno dello spazio somatico », Vittorio Roda, I fantasmi della ragione, Fantastico, scienza e fantascienza nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento, Napoli, Liguori, 1996, pp. 32-33.

40 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 232.

41 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 229.

42 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 232-233.

43 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 233-234.

44 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

45 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

46 « Quando l’ebbe terminata – quando cioè Levy termina la cena che gli è stata offerta de Paw – s’alzò…andò davanti alla Vergine (mentre Paw descriveva questi ultimi particolari accompagnava cogli atti e coi gesti le sue parole) poscia lo vidi estrarre il suo pugno dalla sua pelliccia … (e Paw estrasse il pugno) … alzarlo risolutamente… (e Paw lo alzò)… collocarlo sulla fiamma del lume dicendo : “Così finisce la storia di Levy” », Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

47 Si veda su questo Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 479.

48 « La nota è ambigua », commenta Ceserani « a quale redazione della novella si riferisce ? Dobbiamo pensare che quella pubblicata nel 1870 sia la stessa composta nel 1867 ? […]. Oppure dobbiamo pensare che la redazione del 1870 sia il risultato della riscrittura annunciata ? […] L’ipotesi più probabile a me sembra la seconda », Remo Ceserani, « Una novella fantastica sinora ignorata di Arrigo Boito », in Giornale storico della letteratura italiana, 500, 1980, p. 594.

49 Ezio Puglia, L’immagine del « fiorino rosso » e i limiti del visibile in una novella di Arrigo Boito, in Studi e problemi di critica testuale, 81, ottobre 2010, p. 205.

50 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

51 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

52 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 606.

53 Con la finalità di « corroborare la specularità delle vicende rappresentate », Giovanna Rosa, La narrativa degli Scapigliati, Roma-Bari, Laterza, 1997, p. 116.

54 Irène Bessière, Le récit fantastique : la poétique de l’incertain, Paris, Larousse, 1974, p. 62.

55 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 235.

56 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 236.

57 Mi riferisco, in particolare, alla lezione Considérations générales sur l’étude de fonctions intellectuelles et morales ou cérébrales, Paris, au siège de la Société Positiviste, 1864 (su questo punto mi permetto di rimandare al mio saggio Fantasmi del corpo fantasmi della mente. La malattia fra analisi e racconto (1870-1900), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 76-79).

58 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 236 (c.vi dell’autore). Anche la « sigillazione spiegata scientificamente come fenomeno di stigmtizzazione prodotto da allucinazioni, finisce per rivelarsi una stigmata diabolica sulla base dei passi apocalittici riecheggiati », osserva Villa, Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 604 (c.vo dell’autrice).

59 Edwige Comoy Fusaro, La nevrosi tra medicina e letteratura. Approccio epistemologico alle malattie nervose nella narrativa italiana (1865-1922), Firenze, Polistampa, 2007, p. 99.

60 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 236.

61 Il saggio di Troilo fu pubblicato da Bocca a Torino nel 1899.

62 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 236. Su questo si vd. Edwige Comoy Fusaro, «Sul motivo del contagio nella letteratura scapigliata», in post filosofie, n. 10, 2017.

63 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 636.

64 Arrigo Boito, Il pugno chiuso, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, p. 237.

65 Angela Ida Villa, Introduzioni e note. Narrativa, in Arrigo Boito, Opere letterarie, a cura di Angela Ida Villa, Milano, Edizioni Otto/Novecento, 2009, pp. 636-637.

66 Su questo si veda ancora il mio saggio Fantasmi del corpo fantasmi della mente, La malattia fra analisi e racconto (1870-1900), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 19-22.

67 Giacomo Debenedetti, Il romanzo del Novecento. Quaderni inediti, present. di Eugenio Montale, Milano, Garzanti, 1971, p. 472 ; Vittorio Roda, I fantasmi della ragione, Fantastico, scienza e fantascienza nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento, Napoli, Liguori, 1996, p. 33.

68 Gwenhaël Ponnau, La folie dans la littérature fantastique, Paris, Editions du Centre National de la Recherche Scientifique, 1987, p. 71.

69 Joseph Breuer e Sigmund Freud, Studi sull’isteria 1892-95, in Sigmund Freud, Opere.1. Studi sull’isteria e altri scritti 1886-1895, Torino, Bollati Borighieri, 1989, pp. 161-439.

70 Sigmund Freud, Una difficoltà della psicoanalisi, 1916 in Sigmund Freud, Opere. 8. Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti 1915-1917, Torino, Bollati Boringhieri, 1989, p. 663. « Il pugno che s’autonomizza, rifiutando la coordinazione col resto, incarna splendidamente questo stato d’imperfetto autopossesso, questa forzosa coabitazione entro le mura d’un medesimo edificio del sé e d’un sé/altro da sé », Vittorio Roda, I fantasmi della ragione, Fantastico, scienza e fantascienza nella letteratura italiana fra Ottocento e Novecento, Napoli, Liguori, 1996, p. 37.

71 Laura Nay, Fantasmi del corpo fantasmi della mente, La malattia fra analisi e racconto (1870-1900), Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1999, pp. 9-11.

72 Howard Phillips Lovecraft, L’orrore soprannaturale nella letteratura, in Opere complete, nota biografica di August Derleth, presentazione di Giuseppe Lippi, Milano, SugarCo, 1983, p. 19.

73 Michel Foucault, Scritti letterari, a cura di C. Milanese, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 102.

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Pour citer cet article

Laura Nay, « « Un meraviglioso problema di scienza », « un fatale argomento di dramma » : “Il pugno chiuso” di Arrigo Boito », paru dans Loxias-Colloques, 17. Arrigo Boito cent ans après, « Un meraviglioso problema di scienza », « un fatale argomento di dramma » : “Il pugno chiuso” di Arrigo Boito, mis en ligne le 30 mai 2020, URL : http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1608.

Auteurs

Laura Nay

Laura Nay insegna Letteratura Italiana presso l’Università degli Studi di Torino. Al rapporto fra letteratura e scienza ha dedicato numerosi articoli, due monografie – Fantasmi del corpo, fantasmi della mente. La malattia fra analisi e racconto (1870-1900) (1999) e « Anime portentosamente multiple ». Le strade dell’io nella narrativa moderna (2102) – e ha curato l’edizione della raccolta di Piero Giacosa, Specchi dell’enigma e altre novelle (2012) tutti per i tipi delle Edizioni dell’Orso. In particolare su Boito si è soffermata nell’articolo « Una nuvola di grilli » : Arrigo Boito nelle recensioni dei contemporanei, in Giornale storico della letteratura italiana, 2014, vol. CXCI, a. CXXXI, fasc. 634, pp. 219-263.