Loxias-Colloques |  13. Lettres d'exil. Autour des Tristes et des Pontiques d’Ovide |  Enjeux poétiques et politiques des Tristes et des Pontiques 

Gian Luca Gregori et Gianmarco Bianchini  : 

Tradizione manoscritta e citazioni epigrafiche di Ovidio : una nota su Trist. 1, 3, 25 e Pont. 1, 2, 111 alla luce di alcuni confronti epigrafici

Résumé

La fortune littéraire d’Ovide est grande dans les années qui suivirent sa mort : l’influence de sa poésie se retrouve non seulement dans la littérature de l’époque impériale, mais aussi dans de nombreuses inscriptions, fréquentes surtout aux Ier, et puis aux IVe et Ve siècles de notre ère. Trist. 1, 3, 25 et Pont. 1, 2, 111, en particulier, sont deux exemples significatifs dans lesquels la comparaison épigraphique pourrait aider à résoudre des problèmes textuels dans la tradition manuscrite. Notre contribution vise à évaluer le degré de fiabilité des réminiscences ovidiennes présentes en épigraphie métrique, afin de procéder à une reconstruction du texte ovidien.

Abstract

This paper discusses two verses of Ovid’s Tristia (1, 3, 25) and Epistulae ex Ponto (1, 2, 111), for which the manuscript tradition is discordant. These lines are quoted in three epigraphic documents: CLE 1339 = ICVR, I 3903, CLE 1979 = ICVR, VIII 23529 and CLE 1988 = CIL, VI 37965. How reliable are the quotations in the Latin inscriptions? Do they help to reassess the Ovidian text? The main purpose of this study is to answer such questions, with respect to these particular cases.

Riassunto

In questo contributo affronteremo tre problemi testuali relativi a Tristia ed Epistulae ex Ponto, per i quali non c’è accordo tra i manoscritti e una cui eco forse sopravvive in tre iscrizioni metriche di Roma; proveremo a utilizzare tali fonti di tradizione indiretta per risolvere le incertezze dei manoscritti. Questi tre casi epigrafici sono parte di una ricerca di ampio respiro, nella quale intendiamo approfondire la presenza e il significato di citazioni e reminiscenze ovidiane nelle iscrizioni metriche di Roma, dell’Italia e delle province.

Index

Mots-clés : carmina latina epigraphica , critique génétique, épigraphie, Epistulae ex Ponto, Ovide, Tristia

Keywords : carmina latina epigraphica , Epistulae ex Ponto, Ovid, textual criticism, Tristia

Plan

Texte intégral

1a. Trist. 1, 3, 25

La terza elegia del primo libro dei Tristia costituisce un momento essenziale nella realizzazione della nuova figura letteraria ovidiana che, iniziata con i primi componimenti scritti durante il viaggio verso Tomi, culminerà nell’identificazione del poeta esule con i grandiosi modelli letterari del mito. La rievocazione della notte che vide il congedo di Ovidio da Roma e la descrizione della sua partenza verso il luogo dell’esilio assumono un tono epico-tragico, assimilando lo stesso Ovidio a Enea che era stato costretto ad abbandonare Troia1. In particolare, in Trist. 1, 3 vengono rivissute le ultime ore di quella notte, ricordando la consapevolezza di non potere più fare ritorno a Roma e descrivendo lo stato d’animo suo, della moglie e degli amici che insieme a lui trascorsero quei momenti. La narrazione è scandita da annotazioni temporali che indicano l’inesorabile trascorrere della notte sino alla partenza : dapprima estraniato dalla realtà, come chi fosse stato colpito dal fulmine di Giove (vv. 7-12), Ovidio aveva ripreso coscienza del triste destino che lo aspettava e si era rivolto per l’ultima volta ai familiari presenti che lo piangevano (vv. 13-30) ; infine, dopo aver chiesto allo stesso Giove di placare l’ira di Augusto (vv. 31-40) e aver indugiato a lungo prima di lasciare la casa e la moglie Fabia (vv. 41-72), si era deciso a partire (vv. 73-102). Ai vv. 21-26 il poeta assimila il definitivo distacco da Roma al suo funerale (cfr. anche v. 89) e paragona la desolazione della sua casa all’immagine omerica di Troia espugnata2. Egli avverte tuttavia il lettore, con una formula di permesso, di stare usando grandi esempi per un piccolo caso (vv. 21-26)3 :

Quocumque aspiceres, luctus gemitusque sonabant,
formaque non taciti funeris intus erat.
Femina virque meo, pueri quoque funere maerent,
inque domo lacrimas angulus omnis habet.
Si licet exemplis
in paruo grandibus uti,
haec facies Troiae, cum caperetur, erat
.

Sul v. 25 non c’è accordo tra i testimoni. I due mss. più antichi dei Tristia, M e Tr4, dal cui confronto viene generalmente restituito il testo accolto dagli editori, sono inutilizzabili per questo passo5 ; gli altri codici si dividono, quasi indifferentemente, tra in paruo e in paruis. Tali lezioni sono metricamente equivalenti, ma con una differenza di riferimento : il singolare paruo rimanderebbe più direttamente al caso personale del poeta, mentre il plurale avrebbe una valenza più generica, di tipo proverbiale, come nelle altre occorrenze dell’espressione (vd. infra). Sia in paruo, che in paruis sono da considerare neutri sostantivati in ablativo e in entrambi i casi la frase è facilmente comprensibile, intendendo l’aggettivo come “piccolo/i (caso/i)”6 ; più difficile sarebbe invece sottintendere rispettivamente exemplo o exemplis.

Le moderne edizioni critiche risentono della discordanza interna alla tradizione. Owen (1915) accettava in paruis, senza ancora conoscere il confronto epigrafico, che sarebbe stato di lì a poco individuato7 ; André (1968) e Hall (1995) accolgono invece la lezione in paruo. Negli ultimi vent’anni la questione non è stata più oggetto di particolare cura filologica e si è generalmente preferita l’ipotesi più recente, anche in considerazione del carme epigrafico che si valuterà a breve.

La lezione in paruis in effetti sembra di per sé inferiore, in quanto potenzialmente generatasi per influenza delle terminazioni vicine (exemplis e, a senso, anche grandibus) : l’errore in paruis in luogo di in paruo sarebbe dunque senz’altro facilior, mentre non sarebbe altrettanto agevole spiegare il passaggio opposto da in paruis a in paruo. Non sembra invece convincente, in favore di in paruo, l’assunto di Luck (1967, p. 39), secondo il quale questa lezione sarebbe necessaria « für das Verständnis des Satzes » ; come detto, infatti, entrambe le forme sono perfettamente adatte al contesto, seppure con una lieve differenza di riferimento. E non è vero che, sempre secondo Luck (ibid.), per questo passo non si trovino chiari paralleli, in Ovidio e in altri poeti, che possano portare a una scelta, o quantomeno preferenza, tra le due lezioni. L’idea di paragonare parua magnis è infatti anzitutto virgiliana8, ma si trova almeno altre due volte in Ovidio9 e una anche in Stazio10. Certo non si può ignorare che la circostanza dei due casi ovidiani è ben diversa da Trist. 1, 3, 25, almeno per quanto riguarda la situazione cui la frase in esame fa riferimento : in Met. 5, 416-417 e, ancora più evidentemente, in Trist. 1, 6, 28 la ‘formula di permesso’ è usata in tono proverbiale e implica una comparazione tra cose grandi e cose piccole, mentre nel nostro caso ci si vuole riferire a un solo piccolo esempio, quello del poeta, paragonato ad altri che non sono sullo stesso piano. Si può ben credere che, se Ovidio avesse voluto adattare la frase virgiliana al contesto specifico di Met. 5, 417 e Trist. 1, 6, 28, con ogni probabilità si sarebbero lì dovuti avere due singolari in luogo di, rispettivamente, parua e paruis. Nel caso di Trist. 1, 3, 25, invece, non sembra difficile supporre che il poeta abbia voluto riferirsi a una situazione specifica (la sua ultima notte a Roma) con una frase di sapore sentenzioso convertita dalla sua forma ‘originaria’ a una più particolare.

1b. CLE 1988 = CIL, VI 37965

Una ripresa del verso in esame è stata individuata nel carme epigrafico CLE 1988 = CIL, VI 3796511. Si tratta di un’iscrizione funeraria, generalmente conosciuta come ‘epitaffio di Allia Potestas’, dedicata da un Aulus Allius alla sua liberta e in cui la quasi totalità delle citazioni poetiche è attinta proprio da Ovidio. Il testo è interamente metrico, con l’eccezione delle prime due righe, con l’adprecatio agli dei Mani e il nome della donna. Mancano elementi di datazione interni e la cronologia è piuttosto controversa12 ; tuttavia l’evidente presenza di echi della poesia augustea e, in particolare, le numerosissime imitazioni ovidiane13, insieme alla paleografia (presenza di I montanti e di apici, Q con una lunga coda che scende sotto la linea di scrittura) e al formulario (Dis Manibus non ancora radicalmente abbreviato e seguito dal nome della defunta al genitivo ; espressione hic sita est), sembrano orientare verso la prima metà del I sec. d. C. Il fatto, poi, che l’iscrizione sia stata rinvenuta nell’area del sepolcreto salario-pinciano, che fu in funzione soprattutto tra la tarda Repubblica e l’età dei Flavi, non permetterebbe in ogni caso di spingersi troppo oltre la metà del secolo e suggerisce di respingere le datazioni a epoca tarda proposte a suo tempo14.

Questo documento, come detto, risente in più punti dell’influenza di Ovidio, da cui sono state tratte citazioni tanto numerose da non lasciare dubbi sulla volontà imitativa dell’anonimo autore del testo15. In particolare, a rr. 30-36 si ricorda che Allia crebbe due giovani, paragonando, seppure a contrasto, l’opera benefica di Allia verso i due ragazzi con i danni procurati da Elena a Troia16 (r. 35) ; la seconda parte di r. 36 è un’evidente ripresa di Ov. Trist. 1, 3, 25 :

Haec duo dum vixit iuvenes ita rexit amantes,
exemplo ut fierent similes Pyladisque et Orestae ;
una domus capiebat eos unusque et spiritus illis.
Post hanc nunc idem diversi sibi quisq(ue) senescunt :
femina quod struxit talis, nunc puncta lacessunt.
Aspicite ad Troiam, quid femina fecerit olim !
Sit, precor, hoc iustum : exemplis
in paruo grandibus uti.

L’epigrafe fornirebbe, secondo alcuni studiosi17, un elemento risolutivo a favore della lezione in paruo, nonostante il dubbio di carattere metodologico espresso da Luck nel suo commento ad loc. : « Kann eine Inschrift … hier, wie 1, 11, 12, als Beweis gelten, daβ die breite Überlieferung falsch ist ?18 ». Piuttosto che interrogarsi sulla possibile utilità filologica delle iscrizioni in generale, sarà utile preliminarmente determinare per il caso specifico il livello culturale dell’autore del carme attraverso un’analisi metrica e grammaticale del testo.

Su un totale di cinquantadue versi, ben dodici sono errati (rr. 6, 13, 16-17, 23, 25, 33, 45-46, 49-51)19 ; poiché tali anomalie prosodiche interessano l’iscrizione con una certa frequenza, esse potrebbero indicare un livello culturale tutt’altro che elevato dell’anonimo compositore del carme, forse appassionato di poesia ovidiana, ma i cui riecheggiamenti e citazioni sarebbero piuttosto di tipo mnemonico, per cui il livello di garanzia testuale risulterebbe, di conseguenza, quanto meno ridotto (problema di carattere generale che riguarda i carmina epigraphica rispetto ai loro possibili modelli poetici). Un differente caso di attendibilità è offerto da un’altra epigrafe metrica, l’epitaffio funerario di Lucius Valerius Aries (CLE 89 = CIL, VI 9632), in cui il distico iniziale alle rr. 2-3 (Seu stupor est huic studio sive est insania nomen, / omnis ab hac cura cura levata mea est) è una chiara citazione ovidiana da Trist. 1, 11, 11-12 (Seu stupor huic studio sive est insania nomen, / omnis ab hac cura cura levata mea est), posta come tale nel suo metro originale, sebbene il resto del componimento sia in senari giambici. La valenza documentale di questo carme per il testo di Ovidio non è intaccata dalla dittografia di est dopo stupor a r. 2 ; la questione della ripetizione di cura, di interesse filologico in relazione al verso ovidiano, riguarda infatti il pentametro, che è prosodicamente corretto. Un errore di tal genere si può senz’altro considerare secondario rispetto all’intento di riprodurre il distico ovidiano ; per di più, la ripetizione del verbo sembra essere dovuta a un intento di chiarificazione, che nulla toglie al livello di affidabilità dell’iscrizione (come è stato comunemente riconosciuto dagli editori).

In conclusione, per Trist. 1, 3, 25 non possiamo essere certi che la testimonianza di CLE 1988 offra un argomento decisivo a favore del singolare in paruo. Più significative potrebbero essere infatti le occorrenze letterarie della frase, che sembrano testimoniare come la forma consueta dell’espressione fosse al plurale (in paruis). Allo stesso tempo, però, bisogna tener presente che nei suddetti paralleli non compare il verbo uti, che invece si ritrova nell’iscrizione nella stessa posizione del verso ovidiano. D’altra parte, a conferma del fatto che si tratti qui di un’effettiva ripresa ovidiana potrebbe contribuire il ricordo di Troia alla riga precedente : come in Ovidio, anche nell’epigrafe, infatti, l’espressione exemplis in paruo grandibus uti si riferisce al grandioso esempio troiano. La stessa somiglianza nella scelta terminologica dei due passi sembra rafforzare ulteriormente la derivazione del testo su pietra da Trist 1, 3, 2520. Pertanto, ci sembra che la forma in paruo si adatti meglio al contesto di tutta l’elegia e vada quindi mantenuta.

2a. Pont. 1, 2, 111

Un altro verso ovidiano, questa volta dalle Epistulae ex Ponto, presenta una difficoltà a livello testuale che potrebbe risolversi, a nostro parere, anche grazie alla sua tradizione indiretta di tipo epigrafico.

Nella seconda lettera del primo libro, scritta nel 12/13 d.C., Ovidio si rivolge a Paolo Fabio Massimo, senatore e amicus Augusti, chiedendogli di assumere la sua difesa e di salvarlo con la sua eloquenza da Tomi, dove egli vive hostibus in mediis interque pericula (v. 13) ed è consumato dal dolore. Dopo una lunga descrizione del paesaggio freddo e desolato (vv. 13-58) e un’apologia del comportamento di Augusto, che, se avesse conosciuto quella terra tanto triste, non vi avrebbe mai relegato il poeta (vv. 87-88), Ovidio prega Massimo di parlare in suo favore, non tanto perché egli torni finalmente a Roma, ma perché possa vivere più al sicuro e lontano da popoli barbari. La preghiera del poeta va poi oltre e ai vv. 107-112 egli chiede :

denique, si moriar, subeam pacatius arvum
ossa nec a Scythica nostra premantur humo
nec male compositos, ut scilicet exule dignum,
Bistonii cineres ungula pulset equi :
et ne, si superest
aliquis post funera sensus,
terreat et Manes Sarmatis umbra meos.

Per il v. 111 la tradizione manoscritta non è concorde, dividendosi tra aliquis, che è lezione dei codici più importanti delle Epistulae ex Ponto21, e aliquid, presente solo in un testimone normalmente considerato deteriore dagli editori, s. A ogni modo, si tratta di varianti adiafore sotto l’aspetto del significato22 : in entrambi i casi, infatti, il senso della frase rimane « se sopravvive una qualche sensazione dopo la morte ».

La maggior parte degli editori, tra cui Owen (1915) e André (1977), accetta aliquis al posto di aliquid, quest’ultima ritenuta una banalizzazione per via della sua maggiore frequenza in unione con il genitivo per esprimere il concetto della parte di un tutto23. Soltanto Richmond accoglie aliquid, sulla base del confronto interno con Pont. 2, 2 ; lì Ovidio, ancora rivolgendosi a M. Valerio Messalla Messalino24, figlio del grande M. Valerio Messalla Corvino, gli chiede di parlare in suo favore e di ottenere che potesse cambiare soggiorno (v. 96). Subito dopo (vv. 97-98), per essere più sicuro di convincere il suo interlocutore, il poeta esule aggiunge : hoc pater ille tuus primo mihi cultus ab aevo, / si quid habet sensus umbra diserta, petit. Eppure, sia quis sensus, che il partitivo quid sensus sono parimenti attestati in unione a si per esprimere il medesimo dubbio. D’altronde, se è vero che l’unico altro caso ovidiano è quello evidenziato da Richmond, nella maggior parte delle altre attestazioni si ritrova il sintagma quis sensus25. Non ci sembra, quindi, che questo confronto possa essere considerato sufficientemente significativo in favore di aliquid. Più cogenti, ma in direzione di aliquis, ci paiono invece, seppure in contesti non poetici, i confronti di Sen. Cons. Pol. 9, 3 (si est aliquis defunctis sensus) e Cic. Tusc. 1, 34, 82 (num igitur aliquis dolor aut omnino post mortem sensus in corpore est ?). A questi elementi si aggiungono l’assenza di attestazioni della forma aliquid sensus e, soprattutto, la possibile ripresa del testo ovidiano in due iscrizioni urbane ; essa può fornire, a nostro parere, ulteriore materiale in favore di quis.

2b. CLE 1339= ICVR, I 3903; CLE 1979= ICVR, VIII 23529

Né Richmond, né nessun altro editore hanno finora considerato il confronto con CLE 1979 = ICVR, VIII 23529), che qui si propone, per la verità già individuato da Lommatzsch, e che potrebbe essere particolarmente significativo in questa prospettiva.

Si tratta di un’iscrizione funeraria cristiana, proveniente da Roma, in esametri dattilici, posta dalla moglie al marito Florentius. Nelle rr. 1-5 la donna si rivolge idealmente al defunto, lamentandone la scomparsa e auspicando per sé lo stesso destino di morte. Nelle righe successive trovano spazio l’amara considerazione che i buoni costumi di Florentius non bastarono a salvarlo (rr. 6-7) e la promessa della donna di conservare intatto il loro talamo, mantenendosi inviolata (rr. 8-10). Infine, a r. 12 l’iscrizione si chiude con una sezione onomastica ridotta con il solo cognome Florentius del defunto e il formulario relativo all’indicazione approssimativa dell’età e alla depositio, elementi tutti che lasciano pensare a una datazione del documento ai secoli IV-V d.C.

Notevole sembra l’influenza in questo tardo carme della poesia latina, e in particolar modo di Ovidio26 :

Heu cui me miseram linquis karissime coniunx
quid sine te dulce rear quid amabile credam
cui vitam servo quod non sequor improbe funus
ad te cum liceat iunctis mihi manibus esse
optatoque nimis saltem tumulo sociari
ni(hi)l more(s) siui ( !)
(iu)bere ( !) pietasq(ue) fidesq(ue)
nec quidquam lenem morituro profuit esse
hoc unum si quis tamen est post corpora sensus
pignus habere mei patiar te semper amoris
inviolata tuum coniunx servabo cubule.

Alla r. 8 in particolare sembrerebbe potersi trovare un elemento decisivo a favore della lezione aliquis di Pont. 1, 2, 111. La donna promette di restare fedele a Florentius anche dopo la sua morte con queste parole : « questo solo pegno d’amore, se tuttavia c’è dopo il corpo una qualche sensazione, / lascerò che tu sempre abbia : / inviolata, marito, conserverò il tuo letto. »

Ella, per esprimere l’eventualità che dopo la morte sopravviva qualcosa (se a ciò alludono le parole si quis tamen est post corpora sensus), si serve a quanto pare proprio di Ov., Pont. 1, 2, 111. Questo confronto epigrafico dunque potrebbe offrire un elemento a favore di quis contro quid, che andrebbe ad aggiungersi agli altri già individuati dai moderni editori.

Non si tratta peraltro dell’unico riscontro epigrafico di questo verso ovidiano ; anche in CLE 1339 = ICVR, I 3903, parimenti cristiana e anch’essa urbana, alla r. 4 leggiamo :

suscipe nunc coniunx si quis post funera sensus debita sacratis Manibus officia

Il secondo emistichio dell’esametro riecheggia ancor più evidentemente la fine di Pont. 1, 2, 111 (… post funera sensus) e sembra costituire, pertanto, ulteriore elemento a favore della lezione aliquis in luogo di aliquid in Ovidio.

Notes de bas de page numériques

1 Sulle allusioni virgiliane in Trist. 1, 3 si vedano in particolare Sebastian P. Posch (ed.), Ovidius Naso, Tristia, I, Interpretationen I, Innsbruck, Universitätsverlag Wagner, 1983, « Commentationes Aenipontanae » XXVIII, pp. 138-139 ; Anne Videau-Delibes, Les Tristes d’Ovide et l’élégie romaine : une poétique de la rupture, Paris, Klincksieck, 1991, « Études et Commentaires », pp. 29-34 ; Gianpiero Rosati, « L’addio dell’esule morituro (Trist. 1, 3) : Ovidio come Protesilao », in Ovid. Werk und Wirkung. Festgabe für Michael von Albrecht zum 65. Geburstag, II, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1999, « Studien zur Klassichen Philologie », pp. 787-796, in particolare 788-789 ; Samuel J. Huskey, « Ovid at the Fall of Troy », Vergilius, 48, 2002, pp. 88-104 ; Claudia Montuschi, Il tempo in Ovidio : funzioni, meccanismi, strutture, Firenze, Olschki, 2005, « Studi (Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria) », pp. 82-83.

2 L’eco della caduta di Troia si avverte, d’altronde, in tutta l’elegia : Montuschi, Il tempo in Ovidio : funzioni, meccanismi, strutture, Firenze, Olschki, 2005, « Studi (Accademia Toscana di Scienze e Lettere La Colombaria) », pp. 82-83.

3 Il testo riportato è quello di John Barrie Hall (ed.), P. Ovidi Nasonis Tristia, Stuttgart-Lipsia, Teubner, 1995, « Bibliotheca Scriptorum Greaecorum et Romanorum Teubneriana ».

4 Qui e altrove per il riferimento ai manoscritti si segue Richard J. Tarrant, Texts and Transmission, Oxford, 1983, pp. 257-284.

5 Infatti, mentre Tr inizia da Trist. 1, 11, in M i versi in questione sono caduti in lacuna, per essere in seguito reintegrati utilizzando un testo inferiore.

6 ThLL 10, 1, coll. 564-565.

7 L’iscrizione che si prenderà a breve in esame fu ritrovata nel maggio del 1912. Neppure Ferrara, che pure anticipa la scelta delle successive edizioni critiche (1921, p. 25 : « in paruis = in paruo. L’agg. neutro in abl. sostantivato non è raro, quand’è accompagnato da preposiz. ») prende in considerazione la citazione su pietra del verso ovidiano.

8 Verg. Ecl. 1, 23 : sic paruis componere magna solebam ; Georg. 4, 176 : si parua licet componere magnis.

9 Ov. Met. 5, 416-417 : quodsi conponere magnis / parua mihi fas est ; Trist. 1, 6, 28 : grandia si paruis adsimulare licet.

10 Silv. 1, 5, 61-62 : fas sit componere magnis / parua. Questo topos si trova del resto già in Erodoto (2, 10) e Tucidide (4, 36). Tra gli autori latini cfr. anche Hor. Ep. 2, 2, 178-179 (si metit Orcus / grandia cum paruis) e Ps.-Sen. Ep. 407, 11 (non bene cum paruis iunguntur grandia rebus).

11 EDR072588. L’ampia bibliografia in merito è riassunta da Elisabetta Saltelli, L’epitaffio di Allia Potestas (CIL VI 37965 = CLE 1988). Un commento, Venezia, 2003 ; da ultimo vd. Silvia Evangelisti, « IV, 28. Laudatio funebre per una donna », in Rosanna Friggeri, Maria Grazia Granino Cecere, Gian Luca Gregori (dir.), Terme di Diocleziano. La collezione epigrafica, Milano, Mondadori Electa, 2012, pp. 238-243. Sulla presenza di Trist. 1, 3 nei carmina epigraphica : Joan Gómez-Pallarès, « Ovidius epigraphicus : Tristia, lib. 1 », in Werner Schubert (dir.), Ovid. Werk und Wirkung. Festgabe für Michael von Albrecht zum 65. Geburstag, II, Frankfurt a.M., Peter Lang, 1999, « Studien zur Klassichen Philologie », pp. 755-773.

12 Un’utile sintesi della questione è fornita da Nicholas Horsfall, « CIL VI 37965 = CLE 1988 (Epitaph of Allia Potestas) : A Commentary », in Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik, 61, 1985, pp. 251-272, in particolare 252-254.

13 Vd. Paolo Cugusi, Maria Teresa Sblendorio Cugusi, Versi su pietra. Studi sui Carmina Latina Epigraphica. Metodologia, problemi, tematiche, rapporti con gli auctores, aspetti filologici e linguistici, edizione di testi. Quaranta anni di ricerche, Faenza Fratelli Lega editori, 2016, « Epigrafia e antichità », pp. 237, 571.

14 Gian Luca Gregori, « In cerca di fortuna ? Forestieri a Perusia e Perusini forestieri », in Giorgio Bonamente (dir.), Augusta Perusia. Studi storici e archeologici sull’epoca del bellum Perusinum, Perugia, Pliniana, 2012, « Studi di storia e di storiografia », pp. 117-136, in particolare 129-130.

15 Ultima edizione da parte di Silvia Evangelisti, « IV, 28. Laudatio funebre per una donna », in Rosanna Friggeri, Maria Grazia Granino Cecere, Gian Luca Gregori (dir.), Terme di Diocleziano. La collezione epigrafica, Milano, Mondadori Electa, 2012, pp. 238-243. L’intera frase di r. 9 trova un confronto in Trist. 1, 8, 28 : et lacrimas animi signa dedere sui ; l’espressione dare lacrimas sembra ripresa da Met. 2, 340-341 : Heliades lugent et, inania morti / munera, dant lacrimas. Affine alla clausola di r. 26 è quella di Trist. 1, 1, 35 : ut peragas mandata liber culpabere forsan. Su r. 36 vd. supra. Alla base dell’espressione lacrimans sine fine di r. 37 è senz’altro Her. 3, 15 : at lacrimas sine fine dedi rupique capillos. Il concetto di vedere il proprio funerale, espresso a r. 41, si ritrova in Met. 9, 406-407 (subductaque suos manes tellure videbit / vivus adhuc vates) e l’espressione cernere funus sembra avere un debito nei confronti di Met. 13, 515 (quo, di crudeles, nisi uti nova funera cernam). Infine, numen habere di r. 54 risente di molteplici passi ovidiani : Am. 3, 3, 12 (di quoque concedunt, formaque numen habet) ; 3, 9, 18 (sunt etiam qui nos numen habere putent) ; Fast. 1, 90 (nam tibi par nullum Graecia numen habet) ; 5, 674 (si iuvat expertis credere, numen habet) ; Pont. 2, 8, 6 (quod, fuerit pretium cum rude, numen habet) ; 21, 150 (si tua tam praesens littera numen habet). A questi confronti, già individuati da Saltelli, L’epitaffio di Allia Potestas, si può aggiungere l’espressione di r. 15 positis ex ordine, che si ritrova in Met. 2, 109 (per iuga chrysolithi positaeque ex ordine gemmae) ; 12, 211 (nubigenasque feros positis ex ordine mensis) ; Trist. 1, 1, 107 (aspicies illic positos ex ordine fratres).

16 Su questi versi vd. in particolare Giunio Rizzelli, « Il dibattito sulle ll. 28-29 dell’elogio di Allia Potestas », Studia et Documenta Historiae Iuris, 61, 1995, pp. 623-655.

17 Georg Luck - Wilhelm Willige, Briefe aus der Verbannung. Lateinisch und Deutsch, Zürich, Artemis Verlag, 1963, « Die Bibliothek der alten Welt. Römische Reihe ».

18 Georg Luck (ed.), P. Ovidius Naso, Tristia, I. Text und Übersetzung, Heidelberg, C. Winter Universitätverlag, 1967, « Wissenschaftliche Kommentare zu griechischen und lateinischen Schriftstellen », p. 39 : « in paruis ist breit überliefert ; leider ergibt sich für S kein klares Bild (G2 foglt der Nebenüberlieferung, K hat Wortumstellung), so daβ in paruo Konjektur sein dürfte, hier für das Verständnis des Satzes nötig ».

19 Il ritmo è senz’altro dattilico. A veri e propri esametri (rr. 3-5 ; 8 ; 10-12 ; 14-15 ; 18-20 ; 22 ; 24 ; 26 ; 29-31 ; 34-35 ; 37-38 ; 41-44 ; 48 ; 53) si alternano pentametri (rr. 7 ; 9 ; 21 ; 39-40 ; 47 ; 52 ; 54) ed eptametri (rr. 27-28 ; 32 ; 36).

20 Per esempio femina (r. 35) / femina (v. 23), lachrimans (r. 37) / lacrimas (v. 24).

21 Si tratta di A, B, C ; vd. anche John Richmond (ed.), P. Ovidi Nasonis ex Ponto libri quattuor, Lipsia, Teubner,1990, « Bibliotheca Scriptorum Greaecorum et Romanorum Teubneriana ».

22 Per il valore partitivo di aliquis vd. OLD s.v. aliquis1, 7 e aliquis2, 2.

23 Ho individuato i seguenti casi ovidiani : Am. III 8, 60 (aliquid pauperis esse sinant) ; Met. XV 408 (si tamen est aliquid mirae novitatis in istis) ; Pont. II 9, 63 (haec quoque res aliquid te cum mihi foederis affert).

24 Già in precedenza il poeta si era rivolto a Messalino e, ricordando l’antica amicizia che lo aveva legato al padre Corvino, aveva chiesto di non essere da lui dimenticato (Pont. I 7, 53-54 : iudicium nobis igitur cum vindicis adsit, / non est cur tua me ianua nosse neget).

25 Sen. De brev. 18, 5, 4 (si quis inferis sensus est) ; Cons. Pol. 5, 2, 10 (si quis defunctis sensus est) ; Stat. Theb. 12, 214 (si qui stibi sensus ad umbras) ; [Sen.] Oct. 10 (si quis remanet sensus in umbris).

26 Limitandoci ai casi più significativi, poniamo l’attenzione su r. 1, dove se carissime koniunx è più tipico del linguaggio epigrafico che poetico (ma, limitatamente a Ovidio, cfr. Met. XI 727 : sic, o carissime coniunx), me miseram linquere sembra richiamare Her. 3, 61 (ibis et – o miseram ! – cui me, violente, reliquis ?) ; potrebbero essere parimenti riecheggiamenti ovidiani a r. 2 quid rear (Met. 10, 400 : quid rear ulterius ?), a r. 3 vitam servare (Her. 3, 149 : A, potius serves nostram, tua munera, vitam !) e a r. 9 pignus amoris (Ars 2, 248 : hoc dominae certi pignus amoris erit ; Her. 4, 100 : illa ferae spolium pignus amoris habet ; 11, 113 : nate, parum fausti miserabile pignus amoris ; Met. III 283 : det pignus amoris ; VIII 92 : cape pignus amoris). Queste espressioni trovano tuttavia anche altri confronti letterari ; non si potrebbe quindi determinare con assoluta certezza se l’autore del carme se ne sia servito in quanto riecheggiamenti ovidiani, o come frasi tratte da un comune repertorio letterario. Nonostante ciò, sembra difficile negare in tale carme un diffuso colorito ovidiano.

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Notes de la rédaction

I paragrafi 1a e 2a sono di Gianmarco Bianchini, 1b e 2b di Gian Luca Gregori. Gli autori ringraziano Dylan Bovet, Claudio Giammona, Matteo Massaro, Marina Passalacqua e Michela Rosellini per i preziosi suggerimenti, consigli e correzioni nella stesura di questo contributo.

Pour citer cet article

Gian Luca Gregori et Gianmarco Bianchini , « Tradizione manoscritta e citazioni epigrafiche di Ovidio : una nota su Trist. 1, 3, 25 e Pont. 1, 2, 111 alla luce di alcuni confronti epigrafici », paru dans Loxias-Colloques, 13. Lettres d'exil. Autour des Tristes et des Pontiques d’Ovide, Enjeux poétiques et politiques des Tristes et des Pontiques, Tradizione manoscritta e citazioni epigrafiche di Ovidio : una nota su Trist. 1, 3, 25 e Pont. 1, 2, 111 alla luce di alcuni confronti epigrafici, mis en ligne le 17 août 2019, URL : http://revel.unice.fr/symposia/actel/index.html?id=1262.

Auteurs

Gian Luca Gregori

Professore ordinario di Epigrafia Latina e Antichità Romane nel Dipartimento di Scienze dell’Antichità, Sapienza Università di Roma. Tra i suoi interessi scientifici spiccano la storia del collezionismo epigrafico a Roma, l’edizione di iscrizioni inedite di Roma, l’epigrafia municipale, la storia sociale ed economica dell’Italia antica, la falsificazione epigrafica, gli spettacoli in età romana, i carmina latina epigrafici. È Segretario della Commissione per i supplementi ai corpora delle iscrizioni greche e latine, presso l’Unione Accademica Nazionale, per la quale dal 1999 cura la redazione dei Supplementa Italica. La sua bibliografia comprende oltre 150 titoli, tra volumi, articoli e recensioni. È Socio effettivo della Pontificia Accademia Romana di Archeologia ; socio ordinario dell’Istituto di Studi Romani ; membro corrispondente dell’Institutum Archaeologicum Germanicum (DAI). Pubblicazioni e curriculum in https://uniroma1.academia.edu/GianLucaGregori

Gianmarco Bianchini

PhD Student in Classics e Teaching Assistant nel Department of Classics dell’University of Toronto, nel 2018 ha ottenuto il M.B. Wallace Memorial Graduate Award in Classics e il James William Connor Greek Composition Prize. Ha partecipato a vari convegni internazionali (Shanghai, Liverpool, Vienna, Bari, Clermont-Ferrand, Hamilton). Tra i suoi principali interessi scientifici rientra lo studio dei carmina latina epigrafici, con particolare attenzione alla fortuna e alla ricezione di Ovidio nelle iscrizioni. Pubblicazioni e curriculum in https://utoronto.academia.edu/GianmarcoBianchini