Loxias | 73. Lazare et le Mauvais riche. Regards croisés sur les réceptions d'une parabole | I. Lazare et le Mauvais riche. Regards croisés sur les réceptions d'une parabole | 1. Recherches interdisciplinaires: -- mise en texte, mise en image, mise en drame de la parabole du Mauvais riche aux XIIe-XVIe siècles
Pietro Delcorno :
Drammatizzare il Vangelo dal pulpito.
Il sermone di Bernardino da Siena su Lazzaro e il ricco epulone (Padova 1423)
Résumé
Les sermons de certains prédicateurs du XVe siècle se caractérisent par un usage intensif de formes dramatiques, proches de celles utilisées dans les spectacles religieux de l’époque. L’article présente le modèle précoce et vivant d’un sermon sur la parabole de Lazare et de l’homme riche prêché à Padoue en 1423 par Bernardin de Sienne. L’édition et la traduction intégrale du sermon – qui nous est parvenu par le biais de la reportatio du notaire Daniele da Porcìa – vise à fournir un exemple concret et accessible de la manière dont Bernardin (et d’autres frères) mettait en scène les histoires bibliques et les adaptait aux objectifs catéchétiques et communicatifs de la prédication.
Abstract
The sermons of some fifteenth-century preachers are characterized by an extensive use of dramatic features that are close to those used by contemporary religious plays. The article presents the precocious and lively example of a sermon on the parable of Lazarus and the Rich Man preached by Bernardino of Siena in Padua in 1423. The edition and translation of the entire sermon – transmitted by the reportatio of the notary Daniele da Porcìa – intend to provide scholars with a concrete and accessible example of the ways in which Bernardino (and other friars) dramatized biblical stories and adapted them to the catechetical and communicative goals of preaching.
Riassunto
I sermoni di alcuni predicatori del Quattrocento si caratterizzano per l’ampio impiego di moduli drammatici, non lontani dagli spettacoli religiosi del tempo. L’articolo presenta il precoce e vivace modello di un sermone sulla parabola di Lazzaro e del ricco epulone predicato a Padova nel 1423 da Bernardino da Siena. L’edizione e traduzione integrale del sermone – giuntoci attraverso la reportatio del notaio Daniele da Porcìa - intende fornire un esempio concreto e accessibile delle modalità con cui Bernardino (e altri frati) mettevano in scena i racconti biblici e li adattavano alle finalità catechetiche e comunicative della predicazione.
Plan
Texte intégral
Bernardino da Siena (1380-1444) fu uno dei maggiori protagonisti dell’evoluzione dell’Osservanza minoritica italiana e, sicuramente, uno dei predicatori più rappresentativi dell’intero Quattrocento. L’esemplarità del suo modello di predicare venne ulteriormente rafforzata dalla rapida canonizzazione avvenuta nel 1450, a pochi anni dalla morte, vincendo le voci critiche che – durante la sua vita – avevano portato a ripetute accuse di eresia mosse in particolare contro le forme del culto al trigramma IHS promosso dal senese. Entrato nel 1402 nell’Ordine minore, Bernardino divenne presto attivo protagonista dell’espansione del ramo osservante che, grazie anche al suo impulso, pose sempre più al centro l’impegno pastorale e il supporto all’azione politico-religiosa del papato. Dopo alcuni anni trascorsi come predicatore itinerante nel nord Italia dei quali resta solo una labile traccia, Bernardino acquistò grande fama negli anni Venti del Quattrocento, quando si mostrò capace di attirare e dominare con le proprie capacità oratorie enormi folle nelle maggiori città italiane. A quest’epoca si legano un numero straordinario di cicli di prediche, giunti a noi grazie al prezioso lavoro di reportatores, sia religiosi che laici, impegnati a raccogliere e fissare sulla pagina l’inafferrabile performance del frate senese. Spiccano in questa serie i quaresimali predicati a Padova nel 1423 e a Firenze nel 1424 e 1425. Pur non raggiungendo l’immediatezza del famoso ciclo senese del 1427, queste reportationes consentono di seguire l’evoluzione della predicazione di Bernardino e di compararla sia con i suoi appunti preparatori sia con i suoi successivi quaresimali modello, il Quadragesimale de christiana religione e il Quadragesimale de evangelio aeterno.
Pur non mancando la discussione di temi strettamente teologici o un’intensa meditazione sulla vita e la passione di Cristo, caratteristica della predicazione di Bernardino è la capacità di sviluppare in modo sistematico e concreto gli insegnamenti morali e sociali ritenuti essenziali per la vita delle città italiane, spaziando dalla lotta contro i partiti politici al disciplinamento del lusso, dall’etica economica agli attacchi alla sodomia e all’esortazione all’ordinata carità verso i bisognosi. Nella concezione di Bernardino, era centrale che la predicazione ottenesse risultati concreti, il frutto, come afferma chiaramente in un sermone del 1427 : « Abbi per regola che ogni volta che si predica a utile e a salute d’anima sempre si predica el Vangelo. […] Non è altro el Vangelo se non che l’uomo sia virtuoso, lassi el vizio e segua la virtù, tema la pena e ami la gloria »1. In filigrana, è qui riconoscibile la nota definizione data in Regula bullata 9 riguardo alla predicazione da farsi « ad utilitatem et hedificationem populi, annuntiando eis vitia et virtutes, penam et gloriam », un testo citato spesso da Bernardino parlando del proprio ministero e giustificando le proprie scelte dal pulpito.
In questo senso, è esemplare il sermone dedicato nel 1423 alla ‘parabola’ di Lazzaro e del ricco epulone (Luca 16,19-31)2. Il racconto evangelico aderiva infatti perfettamente ai contenuti indicati in Regula bullata 9 e, anzi, permetteva al senese di metterli in scena con particolare vivacità, ricorrendo a tratti a un registro drammatico. Pur presentando una divisione del thema all’inizio del sermone, la predica segue passo a passo lo sviluppo del racconto evangelico discutendo prima i vizi del ricco epulone (con notevole attenzione al tema delle vesti) e le virtù di Lazzaro, e presentando poi l’opposto destino di beatitudine e dannazione dei due protagonisti. Particolarmente sviluppata è la parte finale, dove si presentano quattro dolores sperimentati dall’epulone al momento della propria morte, dando spazio a vividi exempla – utilizzati dal predicatore per spostare l’accento dai vizi dell’epulone al tema dell’avarizia e dell’usura (temi percepiti come di maggiore urgenza sociale).
In questa sezione si staglia un’inventiva messa in scena del processo contro l’epulone, denunciato da Lazzaro presso il tribunale celeste per averlo lasciato morire di fame. Il processo, giocando su rapidi scambi di battute – in cui il ricco prova, ben nove volte, a giustificare la sua condotta e un battagliero Lazzaro sostiene la sua accusa sulla base di quanto attestato dal Vangelo –, si presenta così come un eccellente esempio della abilità di Bernardino nel drammatizzare sul pulpito il racconto biblico, adattandolo – e a volte piegandolo – alle esigenze di una predicazione capace di sollecitare l’immaginazione degli ascoltatori e di fare presa sulle loro emozioni.
Il sermone mostra appieno la capacità di Bernardino di attualizzare la Bibbia, drammatizzata con finalità didattico espressive in maniera da renderla vicina ai propri ascoltatori e maggiormente rilevante nel contesto sociale in cui egli operava. La tendenza ad attualizzare il racconto biblico, trasportandolo nel contesto contemporaneo, anticipa quanto viene sviluppato nel teatro delle confraternite fiorentine nel secondo Quattrocento. Tra le rappresentazioni prodotte in tale contesto vi è anche la Festa di Lazero ricco e Lazero povero (c. 1470), basata proprio sulla ‘parabola’ evangelica3. Nella rappresentazione, la metamorfosi attualizzante della parabola è evidente fin dall’esordio, dove si mostra il ricco intento a valutare un pegno in fiorini, bolognini, agontani e grossi, ovvero le monete in uso al tempo, trasformando l’epulone del Vangelo in un usuraio cristiano.
Rispose Lazero ricco :
2. Or vien qua, cassier mio di vallimento,
to’ quell’anella e ’l paragon torrai
guarda se le son d’oro o d’argento ;
quello che posson valere tu stimarai.
Tu sai ch’io presto a ottanta per cento,
né per men nulla non gliele darai.
Risponde el cassiere :
Sarà fatto, signore, el tuo volere,
or ti dirò quel che posson valere.
3. Questo, signore, val trecento fiorini
e quest’altro val più che quatrocento.
Risponde Lazero ricco :
Dagli sed e’ vuole oro o vuol quatrini
o grossi o d’agontani se vuole argento.
La funzione di questa prima scena era duplice : la rappresentazione veniva immediatamente ambientata nella Firenze contemporanea ; inoltre il ricco era connotato come un usuraio, un tratto estraneo al racconto evangelico – ma già anticipato da sermoni come quello di Bernardino nel 1423 che, presentando la lunga e pittoresca descrizione della morte del ricco, lo definiva appunto usuraius.
Il sermone di Bernardino fa parte del ciclo quaresimale predicato a Padova nel 1423, noto come Seraphim (così chiamato perché organizzato intorno all’immagine-guida del serafino). Il sermonario ci è giunto attraverso la reportatio del notaio filo-osservante Daniele da Porcìa, che registra in latino la predicazione di Bernardino, conservando alcune tracce dell’esposizione in volgare (le indico in neretto nel testo). L’impegno del notaio padovano segnala il crescente coinvolgimento dei laici nella produzione e diffusione di questi testi, in particolare in Italia4. La notevole qualità di questa reportatio venne in un certo senso certificata dalla sua inclusione nell’editio princeps dell’Opera omnia bernardiniana, stampata a Venezia nel 1591. In mancanza di un’edizione critica, seguirò il testo di un manoscritto copiato a Padova (A), su commissione di un certo frate Giovanni da Assisi, probabilmente nel secondo quarto del Quattrocento5. Utilizzo l’edizione del 1591 (V) per integrare le lacune più evidenti, segnalando in nota le maggiori differenze tra le due versioni.
A : Assisi, Biblioteca del sacro convento, Fondo antico, ms. 246, ff. 54r-56v
V : Sancti Bernardini Senensis Opera omnia, 4 vols (Venezia : Lucantonio Giunta, 1591), IV, p. 67-72
Testo
[f. 54rb] Recordare fili, quia recepisti bona in vita tua, Lazarus vero mala. Lu. 16 capitolo <16, 25>. Christus fecit unam similitudinem discipulis loquendo de Abraham in cuius sinu stabat pauperissimus Lazarus, qui semper in hac vita fuit cruciatus, et in alia habuit meritum. In quo sacro evangelio tractatur de quinta penna nostri seraphini, que vocatur ‘amor remunerans’, quia sicut operaberis ita habebis. Et hoc sanctum eloquium tractat de tribus misteriis.
Primum misterium est divitis viciosi consolacio.
Secundum pauperis virtuosi tribulacio.
Tertium utriusque iusta retribucio.
Prima ibi, fili recordare ;
Secunda ibi, Lazarus similiter mala ;
Tercia ibi, nunc autem hic consolatur, tu vero etc.
Dico quod primum misterium est divitis viciosi consolacio, que consolacio constistit in tribus : primum consistit in diviciis ; secundum consistit in superbia intrinseca ; tertium in luxuria de prope, quia quidquid est in mundo, aut est concupiscencia carnis vel oculorum, aut superbia vel cupiditas diviciarum <cf. 1 Io 2, 16>. Unde nota istas delectationes sensuales, corporales et mentales in hoc evangelio esse notatas. Homo quidam erat dives, ecce delectacio, ecce consolacio in diviciis foris ; subiungit superbiam : et induebatur purpura et bisso. Tercia luxuria : et epulabatur cotidie splendide. Ecce qualiter iste dives capiebat omnia placimenta mundi que poterat, quia non capiebat6 illa que habere non poterat. Et licet ista tria fundamenta sint generalia, tamen inde sequuntur alia specialia que sunt sex :
Primum fundamentum est sui nominis obliviosi.
Secundum est sui status periculosi.
Tertium est sui status pomposi.
Quartum est sui status gulosi.
Quintum est sui status ruinosi.
Sextum est sui status ambiciosi.
Primo demonstrat Christus dicens : Homo quidam, et non exprimit nomen, quia dives iste ignorabatur in paradiso ubi stabat Christus, quia in paradiso ignoratur nomen avari amatoris mundi et diviciarum plus quam Dei : Amen dico vobis, quia nescio vos <Mt 7, 23>. Sed in hoc mundo qui est fumus et in inferno bene cognoscitur dives avarus. Sed Lazarus pauper, et Paulus apostolus, et similes bene cognoscuntur in paradiso, quia ut ait idem apostolus dicens : Nostra conversacio in celis est <Phil 3, 20>, ad dandum intelligere quod iudicium Dei non est simile iudicio mundi, quia secundum Yeremiam, cogniciones mee [f. 54va] non sicut vestre sunt, quia tantum distant sine comparacione, quantum distat celum a terra <Isa 55, 8-9> : quia paupercula mulier videns aliam caudatam mulierem et bene indutam, credit illam fore felicem ; sed errat, quia parum durat in diviciis illis etc. Alia ratio quia vult dare intelligere quod damnati ignorantur in hoc mundo, quia si tu mulier scires maritum tuum vel parentem tuum esse in inferno, tu nullum bonum diceres aut faceres pro animabus suis et sic tolleretur illud bonum tibi, vel hiis qui sunt in purgatorio, vel si tu scires malum salvari, tu facere posses malum, putans te similiter salvari. Item ille dives fuit ille de quo loquitur Lucas 12 capitolo dicens : Dicam anime mee : » Anima habes multa bona posita in annos plurimos : requiesce, commede, bibe, epulare ». Dixit autem illi Deus : « Stulte ! Hac nocte anima tua repetunt a te, que autem parasti, cuius erunt etc. ? » <12, 19-21>. Quia homo thesaurizat et nescit cui <cf. Ps 38, 7>, et moritur et sepelitur in inferno <Lc 16, 22>. Et potuit hic loqui de uno Lazaro, qui fuerat paulo ante quam Christus dixisset parabolam illam pauperrimus et leprosus.
Tolle secundum statum periculosi divitis, unde nota quod in acquirendo et cumulando divicias, homo talis expectat magnam ruinam. Paulus : Qui volunt divites fieri incurrunt in multas temptaciones et in laqueum diaboli <1 Tim 6, 9>. Item est magnum periculum et magna ruina in tenendo divicias, quasi dicens qui vult effici dives venit in multas temptaciones in faciendo contractus illicitos stochizando7 et stramazando8 ac derobando ad terminum vendendo etc. Quia in mercatoribus secundum cursum presentis temporis alterum de duobus necessarium est, aut quod pauperes fiant, aut quod diabolus eos portet, quia si volunt fugere unum laqueum, incidunt in aliud : Incidit in S<c>illam cupiens vitare Caripdim. Unde oportet quod divicie a principio bene lucrentur, in medio ipsis bene utantur, et quod in fine bene reliquantur, id est, quod relinquas tali de quo remaneas bene contentus.
Tertia veritas huius fundata est status pomposus, et nota bene omne verbum, quia induebatur purpura et bisso. Duo sunt vestimenta, scilicet intrinsecum et extrinsecum. Bissus est species lini subtilissimi albi et est pompa intrinseca. Purpura significat pompam extrinsecam, quia Deus non vult quod tu cures tantum de corpore quod tu obliviscaris de anima. Unde si tu tantum curas studere illud corpus putridum, quare non curas etiam de anima [f. 54vb], quia nunquam induis animam de veste alba purificata lavando eam per confessionis ? Dicit quidem Deus : Mundi estote, quia mundus sum ego9. Et nota quod non est peccatum mundare corpus, sed multo magis debes mundare animam, quia non debes peius tractare animam quam corpus, quia si domina teneretur pro sclava et sclava pro domina non est iustum nec conveniens, quia bene licet tractare servam, sed melius debet tractari domina ; unde sanctus Hermeus dicit quod10 habundancia vestium est signum intrinsecum vanitatis, et habens curam vestium significat quod non habet curam anime, et qui solum attendit in se poliendo, necesse habet oblivisci de anima, unde Ecclesiastico 18 capitolo : Amictus corporis et risus dencium et incessus indicat hominem <Eccli 19, 27>, quia per habitum capucii et vestium comprehenditur prudencia et modestia, vel vanitas et intemperancia animi ; quia si caputeus est frambellatus11 et gambe seu calige bipartite et vestis infranpata12, tale est cerebrum quales sunt vestes et habitus ; et ita est laniata anima illius quales caligas et vestes <quas> portat, quia signa extrinseca sunt signa eorum que sunt in anima. Secundum signum est risus inordinatus. Tercium est gressus, quando quis vadit se storciendo et occupat totam viam.
Quarta veritas est sui status gulosi ; ideo subiungit : epulabatur, hoc est, de multis ferculis et diversorum generum et manerierum. Unde Iacobus 5 capitulo in canon<ic>e dicit : Epulati enim estis super terram <5, 5>, et educastis vestrum corpus in rabie luxurie. Et Bernardus : Opes eorum in terra et mari ambiciosa fames, que omnia fiunt propter gule delectacionem13.
Quinta veritas est status ruinosi ; ideo subdit, cotidie, ultra decenciam sue condicionis, quia est peccatum. Iob dicit : Inebriamur vino14 ; et alibi : noli inebriati vino, in quo est luxuria <Eph 5, 18>15.
Sexta veritas est sui status ambiciosi ; ideo subdit, splendide, quia non sufficiebat sibi commedere in scutellis ligneis, sed omnia volebat in argento et auro. Unde conclude quod totus mundus est fundatus in gulositate16.
Volve modo manum et vide secundum misterium pauperis, quid est pauperis virtuosi tribulatio. In quibus verbis evangelii quantum attinet ad pauperem virtuosum nota tres veritates contrarias statui divitis : prima paupertas ; secunda humilitas ; tercia paciencia. Que tria si pauper non [f. 55ra] habet perdit omnia. Ecce paupertas cum dicit mendicus ; et dicitur mendicus quasi manu indicans, quando est ita afflictus quod non potest loqui et porrigit manum indicando suam necessitatem17. Et subdit quod iacebat ad ianuam eius, <hoc signat humilitatem. Patiencia, cum additur quod erat>18 ulceribus plenus, cupiens saturari, non de magnis ferculis, sed de micis que cadebant de mensa divitis, et superfluebant canibus, et nullus sibi dabat de micis, nec mirum quia omne simile appetit sibi simile. Nam bonus est contrarius malo et egro, et luxuriosus est contrarius honesto ; et nota quod canes magis compaciebantur de Lazaro paupere quam alii, quia canes veniebant et lingebant ulcera eius, ad ostendendum duriciem et crudelitatem illorum qui non solum <non> dabant sibi de micis, sed nec expellebant canes, quia pur lecando plagas nocebant Lazaro19.
Tertia principalis pars utriusque, scilicet divitis et pauperis, est Dei iusta retribucio, quia premia tria dantur pauperi correspondencia suis virtutibus et meritis, et contraria miseriis divitis, quia primum premium sunt divicie paradisi contra suam paupertatem ; secundum est gloria propter suam humilitatem ; tertium quia stat in sinu Abrahe contemplando Deum et videndo eum facie ad faciem propter eius pacienciam. Unde bene dicit : Factum est autem ut moreretur mendicus, et non dicit sicut in divite, de quo dicitur : mortuus est autem dives. Nam mors sanctorum preciosa est in conspectu Domini <Ps 115, 15>, quia datur premium vite eternalis. Unde dives tantum fecit quod non dando commedere Lazaro, mortuus est mendicus, quasi dicat per eum non stetit, quoniam fame moreretur ; sed tamen propter famem mortuus non est, et moriendo factum est ut transitur de hoc mundo doloroso ad celestia gaudia ; sed nunquid Lazarus non est mortuus ante tempus ? Dic quod non, quia regula est quod nullus bonus moritur ante tempus, quia pleni dierum sunt boni, sicut Abraham, Iacob, Ysaac etc. Unde David : Convertetur populus meus et dies pleni venient in eis <Ps 72, 10>, idem : Et videbis filios filiorum tuorum pacem super Israel <Ps 127, 6>. Sed mali communiter moriuntur ante tempus, quasi dicat quod si populus paduanus deserit vicia, Deus cavebit illi a peste20. Et ubi primo erat iacens propter humilitatem ante hostium divitis, nunc portatur mendicus ab angelo in sinu Abrahe in gloria. Unde nota quod non [f. 55rb] dicit quod anima portaretur, sed Lazarus, non tamen in corpore ; sed illud dicit duplici racione. Prima racio, quia signat resurrectionem glorie, quando in die iudicii resuregemus cum anima et corpore per figuram que dicitur ‘sinedoce’, quando totum accipitur pro parte. Alius sensus, quia Ecclesia tenet quod anima beati sit iam cum corpore in paradiso, quia est certa de resurrectione et quod corpus per idem est ac si iam esset unitum cum anima per ressurectionem ; hinc in letaniis Ecclesia dicit : Sancte Petre, ora pro nobis etc., quia dicit quod sanctus, et non anima sancti, oret pro nobis. Item nota quod dicit quod angeli portabant illam animam, dic, id est, associabant ad instar unius sponse quando associatur ad sponsum, quia bene sciret et posset ire, sed propter honorem associatur.
Tertia veritas corrispondens pene Lazari dum dicit in sinu Abrahe, ad instar patris tenentis filium, ad signandum quod ante Christum quicumque moriebatur in gracia non poterat videre Deum facie ad faciem, nisi contemplando, sicut contemplabatur sanctus Paulus quando fuit raptus <cf. 2 Cor 12, 2> et sanctus Franciscus21, nisi post gloriam Christi et sic vult dicere in sinu Abrahe, quia Lazarus et ceteri sancti patres in illo tempore poterant contemplari Deum, sed non videre eum. Et vocabatur quies in sinu Abrahe per contemplacionem et est sinu Abrahe confinis visionis vite eterne, quia quando Christus ascendit ad celos et glorificatus est, tunc de contemplacione viderunt Deum.
Modo videamus tria premia divitis corrispondenda suis meritis. Primum dolor contra eius divicias. Secundum confusio contra eius superbiam. Tertium orror contra eius delicias. Nam primo doluit de diviciis ; et nota bene quod dives habet quatruor dolores. Primus dolor est in moriendo, secundus est cum in inferno sepelitur, tertius est in videndo Lazarum in sinu Abrahe gloriari et se cruciari, et quod fuerat in mundo dives, quartus est sensus dolor.
Unde primus dolor ibi cum dicit : mortuus est autem dives. Sed qualiter mortuus est ? Ego ymaginor quod iste dives mortuus est quando erat bene ebrius, et dicebat : « Anima mea habes multa bona, quiesce, bibe, commede » <Lc 12, 19>. Et illa nocte subita morte sepultus est in inferno. Vel mortuus est sicut unus dives avarus, non habens uxorem nec filios, sed solus existens ; et erant tres fratres qui erant sui attinentes in gradu tamen remoto et nunquam dederat eis aliquid [f. 55va] de suo, nec volebat quod ipsi aliquid haberent de suo nec in vita nec post mortem. Accidit quod infirmatus est et nullum habebat famulum, et erat ita miser quod moriebatur fame ; unde alique vicine visitantes eum suaserunt sibi quod reperiret aliquam fidam senem que attenderet sibi, et cognoscentes eius naturam nominaverunt unam miserrimam conformem sue nature, que placuit sibi. Et vocata sene ordinavit sibi quod emeret unam polastruciam22, et sic dabat unum quartum tantum in die. Or iste peioravit et recusabat illos attinentes ire ad ipsum ne spoliarent ipsum. Or ipsi tenuerunt modum loquendi illi seni et dixerunt quod teneat modum quod confiteretur. Illa dixit sibi, or senex dixit : « E, non moriar ». Altera die peiorat, attinentes instant cum vetula quod confiteatur, et ille pur dicit quod bene sentit, quod non morietur. Et tandem incipit ingrossari lingua, et pur dicit se non moriturum nec vult confiteri. Altera die totaliter amisit loquelam et dum ordinassent illi vetule quod cum esset prope mortem notificaret sibi, et notificasset illum perdidisse<t> loquelam. Subito acceperunt plures portitores et maior ascendit et intravit cameram et ivit ad lectum dicens : « Quomodo valetis ? » Et ille avarus adhuc boni intellectus non poterat respondere, sed hinc inde respicebat ne aliquid auferretur. Et ille attinens incepit verbis ortari eum, dicens : « Non timeatis, bene liberabimini ». Et ille annuebat capite quod sic. Sed pur interim iste iuvenis ponit manum sub capizali et accepit claves, et ille senex avarus volens clamare non poterat, sed mutezabat23 annuens quod inde recederet ; sed attinens ille, clausa vetula in quadam camera, introductis fratribus aperuit bancos et capsas undique plenas, et vidente illo avaro et ululante, gemente et pleno omni anxietate et dolore, et omnia vidente et non potente obviare, acceperunt omnes eius denarios et argentarias, et fecerunt plurimas <salmas>24 et vocatis portitoribus omnia miserunt domum suam. Et dum nil foret mittendum nisi lectus super quo avarus iacebat, posito usurario illo super paleis, extraxerunt lectum de subtus et vias miserunt cum lintheaminibus et copertura ; et suasione medici iste miser avarus habebat in gambis [f. 55vb] unum par caligarum de scarlata novarum, deliberatione inter eos facta, unus accipit unam caligam et alter aliam, et extirantes caligas de gambis simul et semel, isti extirabant et diabolus extirpabat animam illius ; et illo in dolore et miseria senex avarus mortuus est. Unde exinde dicitur quando aliquis moritur : El se tira le calze25. Et ecce eius primus dolor, quia videt se dimittens divitias tantis extorsionibus acquisitas.
Secundus dolor est in sepeliendo, quia sepultus est in inferno, et sicut corpus undique conculcatur terra, sic anima eius est undique plena dolore et circundata pena inpulsiva, conculcativa, anxietativa26. Et nota quod iste dives non ponitur hic se esse dampnatus propter usuras, sed solum quia male usus est diviciis, suis non errogando pauperibus elimosinas. Quid ergo fiet de usurariis, predonibus, furibus, et male contrahentibus ? Et nota quantum interest inter mortem divitis et mortem pauperis, quia accidit in hiis sicut de accipitre et galina ; quia nobilis studet accipitrem cum magna industria portando eum deserviendo sibi, et supportando ipsum in quibuscumque, et ut melius usufaciat eum, portat ipsum ad missas ut efficiatur magis devotus et aptat eius alas et in omnibus est sibi subiectus. Sed galina, licet faciat ova et sit utilis, tamen in eius vita semper est <spreta>27 : si vadit in coquina<m> expellitur, si vadit ad mensam domini expellitur, si cantat est fastidiosa et expellitur, et nunquam quiescit quia domini pueri et famuli in omnibus persequentur eam et tandem cum venit in fastidio interficitur, sed in eius morte tota familia gaudet et letatur. In morte vero accipitris secus, quia accipiter proicitur in foveam, gallina vero cum leticia infunditur in sinu domini sui et incorporatur et efficitur caro et sanguis domini sui. Ita in anima pauperis accidit, ut fiat divina participacione. Sic est in paupere, in vita spernitur et in morte vadit ad mensam agni providi28, scilicet Dei ; et dives proicitur in fossa infernali.
Tertius dolor est in videndo, et non erat parvus dolor divitis videndo se habuisse tot bona in mundo et nunc esse in penis inferni, et [f. 56ra] videndo Lazarum quem spreverat in mundo esse in sinu Abrahe in tanto gaudio paradisi, unde elevans oculos suos cum esset in tormentis vidit Abraham a longe, et dicit a longe propter id quod infra dicetur, inter nos et vos est magnum chaos. Et hoc ad eius confusionem, Deus voluit quod in tanta sua pena videret Lazarum gloriosum. Unde Gregorius dicit quod Deus permittit quod usque ad diem iudicii dampnati videant beatos in gloria gaudentes cum afflictione et invidia29. Ymo et sancti, secundum doctores, semper videbunt et continue vident dampnatos ; sed post resurrectionem dampnati propter eorum plurimas poenas non videbunt sanctos ; et dampnati ultra proprias penas affliguntur propter felicitatem beatorum.
Iunge quartum dolorem sensus, unde clamabat dicens : « Pater Abraham miserere mei, et mitte Lazarum ut intingat extremum digiti sui in aqua etc. ». Et dicit pater, captando benevolenciam sed parum prodest ; et bene dicit Abraham patrem per naturam quia descenderunt multi ab eo etc. Ut refrigeret linguam meam, quia crucior in hac flamma ; sed quare non petebat maiora ? Bene petebat maiora, sed desperabat optinere. Sed que fuit causa huius peticionis ? Et potuerint esse tres. Prima erat invidia, ut mittendo Lazarum, ipse Lazarus interim recederet ab illa gloria et non esset ita tribulatus videndo gloriam Lazari. Secunda ratio, quia levando Lazarum ab eius consolacione, minueretur eius pena. Tercia ratio, quia refrigeraret modicum eius linguam. Et nota quod iste dives murmuraverat contra illum pauperem in hoc mundo ; ideo in eo in quo deliquerat puniebatur, scilicet in lingua : unde considera modum suarum penarum.
Et ad intelligenciam nostri evangelii considero quod quando Lazarus mortuus est fuit apresentatus coram Deo, dicens : « Domine, ego fui multum tribulatus in mundo quia sum mortuus fame ».
Dixit Deus : « Qualiter hoc ? »
Dixit Lazarus : « Unus dives avarus abutens diviciis suis in cotidianis epulis dimisit me mori fame ».
Et tunc credo quod Deus dedit potestatem diabolo ut ipsum divitem coram trono sue maiestatis apresentaret, et quod obediens diabolus illam divitis animam subito evulserit de corpore et coram Deo apresentaverit.
Et Deus dixit : « Veni, miserrime, iste meus servus valde conqueritur de te, quod dimiseris eum mori fame, et [f. 56rb] istud probat per scripturam sacri evangelii que non mentitur ».
Nam dives iste fecit multa mendacia. Et primo dicit se excusando : « Domine, tunc cum mortuus est, ego non eram in civitate illa ».
Dicit Lazarus : « Quomodo potest dicere hoc, quia evangelium dicit erat ? »
Et videns quod non poterat negare hoc, dicit aliud mendacium : « Domine, ego habebam magnam familiam ».
Dicit pauper : « Ymo scriptura dicit, quidam ; et sic erat ipse solus ».
Dicit dives aliud mendacium : « Ego eram pauper quod vix poteram me sufficere ».
Dicit pauper : « Evangelium dicit contrarium, quia dicit dives ».
Dixit Deus : « Cum videris ipsum nudum, quare non induebas ipsum30 ? »
Dicit dives : « Ego non habebam nisi unam vestem pro me ».
Dixit Lazarus : « Ymo dicis mendacium, vide librum, quia dicit quod induebaris purpura et bisso ».
Replicat Deus : « Quare saltem non dedisti sibi semel prandium ? »
Dixit dives : « Vix habebam pro me ».
Respondet Lazarus : « Tu dicis magnum mendacium. Ymo quando veniebas domum cum societatibus, tu respiciebas alibi causa non videndi me : et epulabatur ».
Dicit Deus : « Vides modo, quia dicis mendacium ? »
Dicit dives : « O, ego epulabar quandocunque sed raro ».
Dixit Lazarus : « Ymo cotidie ».
Dixit Deus : « Quare ergo non dabas sibi aliquid ? »
Dixit dives : « Licet ego epularer cotidie, quid credis ? Ego tamen vivebam grosso modo et parce ».
« Ymo – dixit Lazarus – tu mentiris quia scriptura dicit splendide, in auro et argento et nitidis pa<n>nis et tapetis. Et ego Lazarus iacebam ad ianua<m> eius ».
Dixit Deus : « O mendax ! Si iacebat infirmus, quare non faciebas sibi mederi ? »
Respondit dives : « Ipse nullum habebat malum ».
« Ymo – dicit Lazarus – ego eram ulceribus plenus ».
Dixit Deus : « Vade crudelissime, non reperio in te fore aliquam caritatem, quia bene credo quod mortuus sit ex tua culpa ».
Dixit dives : « Domine, quia isti gaiofi31 vadunt querendo hostiatim et afluunt multis elimosinis ; ego credebam ipsum fore de illis ».
Inquit Lazarus : « Ymo ego desiderabam saturari de micis que cadebant de mensa tua32 ».
Dixit iterum Deus : « Ego non reperio te exercuisse aliquam pietatem in eo, tu es peior quam unus canis ! »
Dixit Lazarus : « Vos verum dicitis, quia et canes magis compaciebantur de me, quia veniebant et [f. 56va] lingebant ulcera mea et exercebant cum lingua sua illam pietatem quam poterant versus me ».
Dixit Deus concludendo : « Factum est ergo ut moreretur iste mendicus propter te, et bene ac iustum est, ut portaretur ab angelis in sinu Abrahe, et modo recipiat gloriam in premium suorum laborum, et tu sepeliaris in inferno ». A quo custodiat nos Deus per suam misericordiam, amen.
Traduzione
Ricorda, figlio, che tu hai ricevuto i beni durante la tua vita, Lazzaro invece i mali ; Luca capitolo 16.
Cristo raccontò una similitudine ai suoi discepoli parlando di Abramo, nel cui seno stava il poverissimo Lazzaro, che sempre patì tormentato in questa vita e nell’altra ricevette la ricompensa. In questo sacro Vangelo si tratta della quinta penna del nostro serafino, detta ‘amore remunerante’, perché riceverai a seconda di come avrai operato. E questo santo discorso affronta tre misteri :
Il primo è il diletto del ricco vizioso.
Il secondo la tribolazione del povero virtuoso.
Il terzo la giusta ricompensa di entrambi.
Il primo, dove si dice : Figlio, ricorda. Il secondo, dove si dice : Lazaro parimenti i mali. Il terzo, dove si dice : ora egli è consolato, tu invece etc. [sei in mezzo ai tormenti].
Dico che il primo mistero è il diletto del ricco vizioso, una consolazione che consiste in tre cose : primo nelle ricchezze, secondo nell’intrinseca superbia, terzo nella vicina lussuria, perché tutto ciò che è nel mondo è concupiscenza della carne o degli occhi, oppure superbia o cupidigia delle ricchezze. Perciò, nota come questi piaceri sensibili, corporei e mentali sono sottolineati in questo vangelo. Un uomo era ricco, ecco il diletto, ecco la consolazione nelle ricchezze esteriori ; si aggiunge poi la superbia : e vestiva porpora e bisso. Terza è il lusso : e banchettava ogni giorno magnificamente. Ecco in che modo questo ricco afferrava tutti i piaceri del mondo che poteva, perché non afferrava33 quelle cose che non poteva possedere.
E pure essendo questi tre i fondamenti generali, tuttavia ne seguono altri sei che sono particolari :
Il primo è l’oblio del suo nome.
Il secondo la sua condizione pericolosa.
Il terzo la sua condizione pomposa.
Il quarto la sua condizione golosa.
Il quinto la sua condizione rovinosa.
Il sesto la sua condizione ambiziosa.
Cristo svela il primo punto dicendo : un uomo, senza dire il nome, perché questo ricco era ignorato in paradiso, dove Cristo stava, perché in paradiso non è conosciuto il nome di chi è avaro e ama il mondo e le ricchezze più di Dio : In verità vi dico, non vi conosco. Invece, in questo mondo che è fumo, e nell’inferno, il ricco avaro è ben conosciuto. Mentre il povero Lazzaro e l’apostolo Paolo e quelli come loro sono ben conosciuti in paradiso, perché come lo stesso apostolo dice : La nostra dimora è nei cieli, facendo capire che il giudizio di Dio non è come quello del mondo, perché come dice Geremia : I miei pensieri non sono come i vostri pensieri, perché la loro distanza è incomparabile, quanto dista il cielo dalla terra. Perciò una donna in miseria vedendo un’altra donna vestita bene, con tanto di coda [strascico], crede che quella sia felice, ma s’inganna, perché poco durano tali ricchezze etc.
Un’altra ragione è che [Cristo] vuole far capire che in questo mondo non è noto chi siano i dannati, perché se tu donna sapessi che tuo marito o un tuo parente è all’inferno, tu non pregheresti o faresti alcuna cosa buona per le loro anime e così verrebbe a mancare quel bene a te stessa o a quelli che sono in purgatorio ; oppure se tu sapessi che un peccatore si è salvato, tu potresti compiere una cattiva azione immaginando di salvarti similmente.
Inoltre, quel ricco fu quello di cui parla Luca al capitolo 12, dicendo : Dirò a me stesso : « Anima mia, hai molti beni a disposizione per molti anni : riposati, mangia, bevi, festeggia ». Ma Dio gli disse : « Stolto, questa notte ti sarà ripresa la tua vita. Le cose che hai preparato, di chi saranno ? » etc. Perché l’uomo accumula tesori e non sa per chi ; poi muore ed è sepolto nell’inferno. E qui [Cristo] poté parlare di un certo Lazzaro, che visse poverissimo e lebbroso poco prima che Cristo dicesse quella parabola.
Prendi ora il secondo stato, quello del ricco pericoloso, dove devi notare che acquistando e accumulando ricchezze tale persona va incontro a una grande rovina. Paolo dice : Quelli che desiderano le ricchezze cadono in molte tentazioni e nel laccio del diavolo. Ugualmente, vi è un grande pericolo e una grande rovina nel tenere le ricchezze, quasi si dica che chi vuole diventare ricco si imbatte in molte tentazioni nel fare contratti illeciti, stochizando e stramazando e derobando, vendendo a termine etc. Perché, secondo quanto avviene al tempo presente, è necessaria una di queste due cose ai mercanti : o che diventino poveri, o che il diavolo se li prenda, perché se vogliono fuggire da un laccio cadono in un altro ! Si imbatte in Scilla chi cerca di evitare Cariddi. Perciò, è bene che le ricchezze siano in principio guadagnate bene, nel mezzo siano usate bene, e che alla fine siano lasciate bene, cioè che le lasci a qualcuno del quale tu rimanga ben contento.
La terza verità fondata in questo ricco è lo stato pomposo, e osserva bene ogni parola, perché indossava porpora e bisso. Due sono i suoi vestiti, ovvero uno interno e l’altro esterno. Il bisso è una specie di lino bianco sottilissimo e rappresenta lo sfarzo rivolto all’interno, la porpora significa lo sfarzo esteriore, perché Dio non vuole che tu ti curi così tanto del corpo da dimenticarti dell’anima. Perciò, se tu ti curi tanto di occuparti di questo putrido corpo, perché non ti prendi cura anche dell’anima ? Perché non vesti mai l’anima della veste candida, purificata lavandola con la confessione ? Dice infatti Dio : Siate puri, perché io sono puro.
E nota che non è un peccato pulire il corpo, ma molto di più devi pulire l’anima, perché non devi trattare peggio l’anima del corpo. Infatti, se la padrona fosse trattata da schiava e la schiava da padrona non sarebbe né giusto né conveniente ; perché se pure è lecito trattare bene una serva, si deve trattare meglio la padrona. Perciò santo Hermeus dice che l’abbondanza di vesti è un intrinseco segno di vanità, e preoccuparsi delle vesti significa non avere cura dell’anima, e chi presta attenzione solo ad abbellire se stesso, necessariamente si dimentica dell’anima.
Perciò dice Ecclesiastico, capitolo 18 : Il vestito del corpo, il sorriso dei denti e il modo di camminare rivelano l’uomo, perché attraverso la foggia del cappuccio e della veste si comprende la prudenza e la modestia o, viceversa, la vanità e l’intemperanza dell’animo. Infatti, se il cappuccio è frambellato e le gambe, ovvero le calze, bipartite e la veste infrappata, il cervello sarà uguale alle vesti e all’abito ! E l’anima di uno è tanto dilaniata quanto le calze e le vesti che porta, perché i segni esteriori sono segni di ciò che è nell’anima. Il secondo segnale è la risata disordinata. Il terzo è l’andatura, quando qualcuno procede storciendo se stesso e occupando tutta la strada.
La quarta verità è il suo stato di goloso, perciò si aggiunge : banchettava, e cioè con molte portate, di diverso genere e fattura. Perciò dice Giacomo nel quinto capitolo della sua lettera : Avete banchettato sulla terra e avete educato il vostro corpo in mezzo alla rabbia della lussuria. Dice Bernardo : L’ambiziosa fame <muove> le loro ricchezze per terra e per mare, e tutto compiono per dilettare la gola.
La quinta verità è lo stato rovinoso ; perciò aggiunge, ogni giorno, al di là di ciò che è decente per la sua condizione, perciò è un peccato. Giobbe dice : inebriamoci di vino ; e altrove si dice : Non ti inebriare di vino, il quale porta alla lussuria.
La sesta verità riguarda la sua condizione di ambizioso, perciò aggiunge : splendidamente, perché non gli bastava mangiare in piatti di legno, ma li voleva tutti di argento e d’oro. Da ciò si conclude che tutto il mondo viene dissipato nella golosità.
Cambia ora lato e guarda il secondo mistero, quello del povero, cioè la tribolazione del povero virtuoso. Nelle parole del Vangelo che si riferiscono al povero virtuoso nota tre verità che sono contrapposte alla condizione del ricco : prima la povertà, seconda l’umiltà, terza la pazienza. Se un povero non ha queste tre cose perde tutto. Ecco la povertà, dove dice : mendicante ; si dice mendicante, come a dire che indica con la mano, quando uno è così prostrato che non ha la forza di parlare e porge la mano, indicando il suo bisogno. E si aggiunge che giaceva alla porta del ricco, questo segnala l’umiltà. La pazienza è indicata quando si aggiunge che era pieno di ulcere e desiderava sfamarsi, non di grandi portate, ma delle briciole che cadevano dalla mensa del ricco, ed erano superflue persino ai cani, ma nessuno gliene dava, e questo non stupisce perché ciascuno attira a sé chi gli è simile. Infatti, il bene è il contrario del male e del malato, e il lussurioso è il contrario dell’onesto.
Nota inoltre che i cani avevano compassione di Lazzaro povero più degli altri, perché i cani venivano e gli leccavano le ferite, mostrando così la durezza e la crudeltà di quelle persone che non solo non gli davano le briciole, ma neanche cacciavano i cani che pur leccando le sue piaghe nuocevano a Lazzaro.
La terza parte principale è la giusta retribuzione data da Dio ad entrambi, ovvero al ricco e al povero, perché al povero sono dati tre premi che corrispondono alle sue virtù e ai suoi meriti, e viceversa al ricco avaro. Il primo premio [dato al povero] sono le ricchezze del paradiso in cambio della sua povertà ; il secondo è la gloria a motivo della sua umiltà ; il terzo è lo stare nel grembo di Abramo contemplando Dio e vedendolo faccia a faccia a motivo della sua pazienza. Perciò correttamente è detto : Avvenne che morì il mendicante, e non dice come per il ricco, del quale si dice : è morto inoltre il ricco. Infatti, la morte dei santi è preziosa agli occhi del Signore, perché è dato loro il premio nella vita eterna.
Perciò il ricco operò in maniera tale che non dando da mangiare a Lazzaro morì il mendicante, quasi si dica che a causa sua non sopravvisse, poiché morì di fame. Tuttavia, a causa della fame non è davvero morto, perché morendo venne fatto transitare da questo mondo doloroso ai gaudi celesti. Ma forse che Lazzaro non è morto prima del tempo ? Bisogna dire di no, perché la regola è che nessuno che sia buono muore prima del tempo, perché i giorni sono completi per chi è buono, come si vede in Abramo, Giacobbe, Isacco etc. Perciò Davide dice : Si convertirà il mio popolo e la pienezza dei giorni giungerà a loro, ugualmente dice : Vedrai i figli dei tuoi figli, pace per Israele. Invece i cattivi muoiono comunemente prima del tempo. Come a dire che se il popolo padovano abbandonerà i suoi vizi, Dio lo proteggerà dalla peste.
E dove in un primo tempo giaceva per umiltà davanti alla porta del ricco, ora il mendicante è portato da un angelo nel seno di Abramo, nella gloria. Perciò nota che non si dice che venne portata l’anima, ma Lazzaro, non però con il suo corpo ; e questo è detto per una duplice ragione. La prima ragione è che attesta la risurrezione nella gloria, quando nel giorno del giudizio risorgeremo con l’anima e con il corpo, attraverso la figura che si chiama ‘sineddoche’, quando il tutto è preso per la parte. L’altra ragione è perché la Chiesa ritiene che l’anima dei beati sia già insieme al corpo in paradiso, perché è certa della risurrezione e che il corpo allo stesso modo è come se fosse già unito all’anima nella risurrezione. Perciò nelle litanie la Chiesa dice : San Pietro, prega per noi etc., perché dice che il santo, e non l’anima del santo, prega per noi. Ugualmente, nota che viene detto che gli angeli portavano quell’anima, cioè erano associati ; come a una sposa, quando si unisce allo sposo : saprebbe e potrebbe andare da sola, però per ragione di onore è accompagnata.
La terza verità corrisponde alla pena di Lazzaro quando dice : nel seno di Abramo, come un padre che tiene in braccio un figlio, per mostrare che prima di Cristo chiunque moriva in stato di grazia non poteva vedere Dio faccia a faccia, se non contemplando, come avvenne a Paolo quando fu rapito in estasi e a san Francesco, fino a dopo la glorificazione di Cristo ; e questo vuol dire : nel seno di Abramo, perché Lazzaro e gli altri santi padri in quel tempo potevano contemplare Dio, ma non vederlo. Era detta la quiete nel seno di Abramo per la contemplazione. E il seno di Abramo è vicino alla visione della vita eterna, perché quando Cristo ascese al cielo e venne glorificato, allora usciti dalla contemplazione essi videro Dio.
Ora vediamo i tre premi del ricco che devono corrispondere ai suoi meriti : primo, il dolore contrapposto alle sue ricchezze ; secondo, la confusione al posto della sua superbia ; terzo, l’orrore al posto dei suoi diletti. Infatti, per prima cosa fu afflitto per le sue ricchezze. E nota bene che il ricco soffre quattro diversi dolori : il primo dolore è quando muore ; il secondo quando è sepolto all’inferno, il terzo quando vede Lazzaro glorificato nel seno di Abramo mentre lui, che fu ricco nel mondo, è tormentato ; il quarto è il dolore dei sensi.
Dunque, il primo dolore è quando si dice : Morì il ricco. Ma come è morto ? Io immagino che questo ricco è morto quando era ubriaco fradicio e diceva : « Anima mia, hai molti beni : riposati, mangia, bevi ». E quella stessa notte, con una morte improvvisa, venne sepolto all’inferno. Oppure morì come un ricco avaro che non aveva né moglie né figli, ma viveva solo. C’erano tre fratelli, suoi parenti ma solo alla lontana, ai quali non aveva mai dato qualcosa di suo e non voleva che avessero qualcosa di suo né durante la sua vita né dopo la sua morte. Avvenne che si ammalò e, non avendo alcun servitore, era così meschino che moriva di fame. Alcune sue vicine visitandolo lo convinsero perciò a trovare una qualche serva fidata che si occupasse di lui e, conoscendo la sua natura, chiamarono una donna miserrima, conforme alla sua natura, che infatti gli piacque. Chiamata la vecchia, le ordinò che comprasse una pollastruccia e così gliene dava un quarto soltanto al giorno. Or questi peggiorò, ma non consentiva ai suoi parenti di andare da lui, perché non lo depredassero. Or questi trovarono il modo di parlare con quella vecchia e dissero che trovasse il modo che questi si confessasse. Quella glielo disse, ma il vecchio disse : « Eh, non morirò ! » Un altro giorno questi peggiora e i parenti insistono con la vecchia che si confessi, ma quegli ancora dice che si sente bene e che non morirà. Infine, inizia a ingrossarsi la lingua, e tuttavia dice che non sta per morire e non vuole confessarsi. Un altro giorno perse totalmente la capacità di parlare e, avendo ordinato questi [i parenti] alla vecchia che quando egli fosse stato prossimo alla morte li avvertisse, questa li informò che aveva perso l’uso della parola. Subito presero con sé diversi facchini e il fratello maggiore salì in casa, entrò nella camera e andò verso il letto dicendo : « Come stai ? ». L’avaro, ancora lucido di mente, non poteva rispondere, ma guardava da un lato all’altro affinché non prendesse nulla. E quel parente cominciò a esortarlo, dicendogli : « Non temere, tu ne sarai liberato bene ». Ed egli annuiva con la testa che sarebbe stato così. Intanto però questo giovane pose la mano sotto il cuscino e prese le chiavi, e quel vecchio avaro voleva gridare ma non poteva, allora mutizzava indicando che retrocedesse. Ma quel parente, chiusa la vecchia in una camera, introdotti i fratelli, aprì gli armadi e le casse stracolme. L’avaro vedendo questo ululava e gemeva, colmo di ogni ansia e dolore. Vedeva tutto e non poteva opporsi. Presero tutti i suoi denari e l’argenteria, fecero molti bagagli e, chiamati i portatori, mandarono tutto a casa loro. E quando non ci fu più nulla da prendere se non il letto sul quale giaceva l’avaro, posto quell’usuraio sulla paglia, estrassero il letto da sotto e lo mandarono via, insieme con le lenzuola e il baldacchino. E poiché, persuaso dal medico, questo misero avaro indossava un paio di calze nuove, color scarlatto, consigliatisi tra di loro, uno dei parenti prese una calza e un altro l’altra, e proprio mentre tiravano via le calze dalle sue gambe, questi estraevano le calze e il diavolo strappava l’anima. E in tale dolore e miseria il vecchio avaro morì. Perciò da allora quando qualcuno muore si dice : El se tira le calze. Ed ecco il primo dolore [del ricco], quando vede che deve lasciare le ricchezze acquistate con tante estorsioni.
Il secondo dolore è la sepoltura, perché : venne sepolto all’inferno ; e come il corpo è schiacciato da ogni parte dalla terra, così da ogni lato la sua anima è piena di dolore e circondata dalla pena impulsiva, oppressiva, ansietativa34. Nota che non si dice che questo ricco fu condannato per l’usura, ma soltanto perché usò male le sue ricchezze non distribuendole in elemosina ai poveri. Cosa accadrà quindi agli usurai, ai predoni, ai ladri, e a chi fa affari illeciti ?
Nota inoltre quanto sia diversa la morte del ricco e del povero, perché accade loro come al falcone e alla gallina. Infatti, un nobile si dedica con grande industria a un falcone, servendolo e sopportandolo in qualunque cosa e, affinché faccia migliore frutto, lo porta a messa perché diventi più devoto, gli sistema le ali e si sottopone a lui in tutto. Invece una gallina, anche se fa le uova ed è utile, tuttavia nella sua vita è sempre disprezzata. Se va in cucina viene cacciata, se va alla mensa del signore, è cacciata, se canta è fastidiosa e viene cacciata, e mai si riposa, perché i fanciulli e i servi del padrone la perseguitano ovunque e da ultimo, quando diventa fastidiosa, viene uccisa. Però alla sua morte tutta la famiglia gioisce e si rallegra. Invece alla morte del falcone avviene diversamente, perché il falcone è gettato in una fossa, la gallina invece è introdotta nel ventre del suo signore e incorporata e diventa carne e sangue del suo signore. Così avviene all’anima del povero che diventa divina per partecipazione. Così avviene al povero : in vita è disprezzato, ma al momento della morte va alla mensa del provvido agnello, ovvero di Dio ; mentre il ricco è gettato nella fossa dell’inferno.
Il terzo dolore è nel vedere, e non era un dolore piccolo per il ricco vedere che lui aveva avuto tanti beni nel mondo e ora stava nelle pene dell’inferno, mentre Lazzaro che aveva disprezzato nel mondo era nel seno di Abramo in così grande gaudio del paradiso : Perciò alzando i suoi occhi mentre era tra i tormenti vide Abramo da lontano, e dice da lontano per il motivo che viene detto subito dopo : tra noi e voi c’è un grande abisso. Per sua confusione, Dio ha voluto che durante la sua enorme pena vedesse Lazzaro glorioso. Gregorio dice perciò che, fino al giorno del giudizio, Dio permette che i dannati vedano, con sofferenza e invidia, i beati che gioiscono nella gloria. Al contrario, i santi, secondo i dottori, vedranno e continuamente vedono i dannati, ma dopo la risurrezione i dannati, a causa delle loro molteplici pene, non vedranno più i beati. E i dannati, oltre alle proprie sofferenze, si affliggono a causa della felicità dei beati.
Aggiungi il quarto dolore, quello dei sensi ; perciò il ricco gridava dicendo : « Padre Abramo abbi pietà di me, manda Lazzaro ad intingere l’estremo di un suo dito nell’acqua etc. » Chiamarlo padre è una captatio benevolentiae, ma poco gli giova. Ma dice bene che Abramo gli è padre per natura, perché molti discesero da lui etc. Affinché rinfreschi la mia lingua, perché questa fiamma mi tortura. Perché però non chiedeva di più ? In realtà avrebbe chiesto cose maggiori, ma disperava di ottenerle. Ma quale fu la ragione di questa sua richiesta ? Possono essercene state tre. La prima era l’invidia, perché mandando Lazzaro, questi avrebbe dovuto allontanarsi da quella gloria e il ricco non sarebbe stato così tanto tormentato dal vedere la gloria di Lazzaro. La seconda ragione è che levando Lazzaro dalla sua consolazione sarebbe diminuita la propria pena. La terza ragione è che avrebbe rinfrescato un poco la sua lingua. Nota infatti che questo ricco aveva mormorato contro quel povero in questo mondo. Infatti, in ciò in cui lui ha commesso un peccato, in quello è punito, cioè nella lingua. Perciò, considera la grandezza delle sue pene.
Per la comprensione del nostro Vangelo considero che quando Lazzaro morì e fu presentato al cospetto di Dio, disse : « Signore, io soffrii molte tribolazioni nel mondo, perché sono morto di fame ».
Disse Dio : « Come è accaduto ? »
Lazzaro disse : « Un ricco avaro, abusando delle sue ricchezze in festeggiamenti giornalieri, mi lasciò morire di fame ».
Credo che allora Dio diede il comando a un diavolo, affinché portasse quel ricco davanti al trono della sua maestà, e il diavolo obbedendo strappò subito l’anima di quel ricco dal suo corpo e la presentò al cospetto di Dio. E Dio disse : « Vieni, miserabile ! Questo mio servitore si lamenta con forza di te, perché lo avresti lasciato morire di fame ; e prova questo attraverso il testo dei sacri Vangeli che non mente ».
Allora questo ricco disse molte bugie. E per prima cosa dice per scusarsi : « Signore, quando è morto io non ero in quella città ».
Dice Lazzaro : « Come può dire questo, visto che il Vangelo dice : c’era ? »
Vedendo che non poteva negare questo, il ricco disse un’altra bugia : « Signore, io avevo una famiglia numerosa ».
Dice il povero : « Al contrario, la Scrittura dice : uno, e così era lui solo ».
Il ricco dice un’altra bugia : « Ero povero, potevo appena bastare a me stesso ».
Il povero dice : « Il Vangelo dice il contrario, perché dice : ricco ».
Disse Dio : « Quando lo vedevi nudo, perché non lo rivestivi ? »
Dice il ricco : « Non avevo se non una sola veste per me stesso ».
Disse Lazzaro : « Tutt’altro, bugiardo ! Guarda il libro [dei Vangeli], perché dice che indossavi porpora e bisso ».
Replica Dio : « Perché non gli desti almeno una volta un pasto ? »
Disse il ricco : « A stento ne avevo per me stesso ».
Risponde Lazzaro : « Tu dici una gran bugia ! Al contrario, quando venivi a casa con i tuoi compagni, tu guardavi altrove per non vedermi : e banchettava ».
Dice Dio : « Vedi dunque, perché dici bugie ? »
Dice il ricco : « Oh, banchettavo alcune volte, ma raramente ».
Disse Lazzaro : « Al contrario, tutti i giorni ! »
Disse Dio : « Perché allora non gliene davi un po’ ? »
Disse il ricco : « Sebbene banchettavo ciascun giorno, cosa credi ? Io vivevo tuttavia senza raffinatezze e modestamente ».
« Tutt’altro – disse Lazzaro – tu menti, perché la Scrittura dice splendidamente, con ori e argenti, panni lindi e tappeti. E io Lazzaro giacevo alla sua porta ».
Disse Dio : « Oh bugiardo ! Se giaceva infermo, perché non lo facevi medicare ? »
Rispose il ricco : « Non aveva nessuna infermità ».
« Al contrario – dice Lazzaro – io ero tutto piagato ».
Disse Dio : « Allontanati, crudelissimo ! Non trovo che in te ci fosse alcuna carità, perciò davvero credo che egli sia morto per colpa tua ».
Disse il ricco : « Signore, fu così perché questi gaglioffi vanno chiedendo porta a porta e raccolgono molte elemosine. Io credevo che lui fosse uno di questi ».
Disse Lazzaro : « Al contrario ! Io desideravo saziarmi con le briciole che cadevano dalla tua mensa ».
Di nuovo disse Dio : « Io non trovo che tu abbia esercitato alcuna pietà verso di lui, tu sei peggio di un cane ! »
Disse Lazzaro : « Voi dite il vero, perché [rispetto a lui] anche i cani avevano maggiore compassione di me : infatti venivano e leccavano le mie ferite e con la loro lingua esercitavano verso di me quella pietà che potevano ».
Disse Dio concludendo : « Avvenne che morì questo mendicante a causa tua, ed è giusto e buono che sia stato portato dagli angeli nel seno di Abramo e riceva ora la gloria come premio per le sue sofferenze, mentre tu sei seppellito nell’inferno ». Dal quale ci custodisca Dio per sua misericordia, amen.
Notes de bas de page numériques
1 Bernardino da Siena, Prediche volgari sul Campo di Siena 1427, a cura di Carlo Delcorno, Milano, Rusconi, 1989, p. 1332.
2 In epoca medievale il racconto era ritenuto un exemplum basato su una storia reale ; si veda Pietro Delcorno, Lazzaro e il ricco epulone : Metamorfosi di una parabola fra Quattro e Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 2014, p. 68-76.
3 Edita in Pietro Delcorno, « La Festa di Lazero rico e di Lazero povero. Una sacra rappresentazione fiorentina sulla parabola del ricco epulone », Interpres, 30, 2011, p. 62-135. Del testo si indicano le ottave e il verso, e si ammoderna la grafia.
4 Si vedano Giulia Folladore, « ‘Veloci calamo recollegi’. Daniele da Porcìa, reportator di San Bernardino da Siena (Padova, 1423-1443) », Il Santo, 48, 2008, p. 145-168, e i saggi raccolti in Dal pulpito alla navata : La predicazione medievale nella sua recezione da parte degli ascoltatori (secc. XIII-XV), a cura di Giancarlo Garfagnini [Medioevo e Rinascimento, 3, 1989].
5 Il committente del manoscritto annota : « Predicationes fratris Bernardini recollecte Padue, empte et facte scribi per me fratrem Iohannem de Asisio dum essem lettor Padue, propris elemosinis pretio » ; a fianco, una mano successiva indica : « ducatis 8 » ; Assisi, Biblioteca del sacro convento, Fondo antico, ms. 246, f. 1v. La dicitura « fr. Bernardini » suggerisce una datazione precedente alla sua canonizzazione. Oltre al manoscritto di Assisi, la reportatio di Daniele da Porcìa è conservata in altri tre testimoni : Firenze, Biblioteca Laurenziana, Ashburnham ms. 150 ; Milano, Biblioteca Ambrosiana, ms. G 282 Inf. ; un manoscritto recentemente apparso sul mercato antiquario nel 2020 (Les Enluminours – Text Manuscript, TM 999) e recentemente donato alla Biblioteca Apostolica Vaticana (segnatura : Vat. lat. 15504). Una diversa reportatio si conserva in Roma, Archivio Generale dei Frati Minori Conventuali, ms. D 41.
6 capiebat] cupiebat V.
7 ‘Stocchizzare’ : chiedere prestiti, scroccare ; voce di area veneta, ‘stochizar’, per ‘stoccare’ nell’accezione di richiesta pressante di denaro (GDLI = Grande dizionario della lingua italiana, a cura di Salvatore Battaglia, 21 vols, Torino, UTET, 1961-2002).
8 ‘Stramazzare’ : cadere a terra per un colpo violento, attestato in Bernardino da Siena nel significato di perdere molto denaro in un’operazione commerciale (GDLI).
9 La citazione unisce Isaia 1, 16 (Lavamini mundi estote) e Levitico 11, 44 (Sancti estote, quia ego sanctus sum).
10 unde sanctus Hermeus dicit quod] om. V. Riferimento non trovato. Visto che san Ermeo è un martire del secondo secolo, non è chiaro a chi si riferisca Bernardino (Herineus/Ireneo ? Hermannus ?) e va tenuto conto il possibile fraintendimento del reportator e/o del copista.
11 ‘Frambellato’ è da considerarsi variante di ‘strambellato’, nell’accezione di strappato, stracciato (GDLI).
12 ‘Infrappato’ : ornato di frappe, frastagliato ; vocabolo attestato nelle prediche volgari di Bernardino (GDLI).
13 La frase non sembra di Bernardo, ma riflettere forse un passo di Lucano : « O prodiga rerum / luxuries, numquam parvo contenta paratis, / et quaesitorum terra pelagoque ciborum / ambitiosa fames et lautae gloria mensae, / discite quam parvo liceat producere vitam / et quantum natura petat... » (Farsalia IV 373-378). I versi di Lucano erano usati da predicatori contemporanei a Bernardino, come nei Sermones quadragesimales de legibus del domenicano Leonardo da Udine (sermone primo : de peccato gule).
14 Più che un rimando a Giobbe, forse è un rimando a Isaia 22, 13.
15 V è notevolmente diverso : « Quintus est status ruinosus, ideo subdit : quotidie, ultra decenciam sue condicionis, quia est peccatum. Tanto enim magis aggravatur peccatus, quanto magis continuatur et frequentatur. Semel quidem in anno inebriari aut crapulari peccatum est ; sed hoc repetere decies est adhuc gravius peccatum. Sed et quotidie inebriari et crapulari, hoc gravissimum est. Ulcus enim quod contine scalpitur, contine fit peius. Unde de adulterio dicitur in canonibus : Nihil gravius adulterio, quod volens glosa declarare : Gravius, quia saepius. Frequentatio ergo peccati facit hominem ruinosum ».
16 Unde […] gulositate] om. V.
17 La definizione deriva da Isidoro di Siviglia, Etymologiae, X, 176 (PL 82, col. 385).
18 Reintegro in base a V, dove si presenta un più ampio discorso : « Humilitas, cum subdit : et iacebat ad ianuam divitis, puta non super strato aut tapetis, sed super terra et in luto, in strata extra terram, ad ventum et pluviam et solem, et omnia incommoda sufferebat, et hoc signat humilitatem iacere in terra ; humilitas enim ab humo dicta est, quia sicut humus est bassum elementum, sic humilitas in sua natura est bassissima virtus, licet eius effectus sit altissimus. Patientia, cum additur, quod erat ulceribus plenus ».
19 V è notevolmente diverso : « Nam bonus est contrarius malo, et luxuriosus honesto, etc. Ideo in domo divitis gulosi canes magis compatiebantur Lazaro lingentes eius ulcera quam viri illi, quia mali erant, et odio habebant pauperem Christi ».
20 V omette questa frase, un riferimento al contesto concreto in cui predica Bernardino, ovvero alla peste del 1423, particolarmente forte in area veneta (la fondazione del primo Lazzaretto a Venezia, nell’agosto 1423, è legata ad essa).
21 et sanctus Franciscus] om. V.
22 Calco macaronico dell’italiano pollastruccia, vezzeggiatovo femminile di pollastro, equivalente a pollastrella.
23 Mormorava indistintamente.
24 Spazio vuoto in A, completo sulla base di V.
25 Improbabile eziologia della locuzione tirare le calze, tirare il calzino nell’accezione di morire (vedi GDLI alla voce : calzino). L’exemplum è attestato anche nelle reportationes volgari di Bernardino, in maniera più stringata ; cf. Carlo Delcorno e Saverio Amadori, Repertorio degli esempi volgari di Bernardino da Siena (Bologna, CLUEB, 2002), n° 18. Il racconto di Bernardino circolò tra i suoi seguaci : lo si trova nel Sermo de ferocissima morte di un anonimo frate minore, copiata in un manoscritto prima del 1459 (con esplicito rimando a Bernardino : « Ancora nara sancto Bernardino uno altro exemplo... »), sia in Cherubino da Spoleto († 1484), che conserva l’espressione finale (“Inde è che se dice quando uno more : El tira le calze”), Cherubino da Spoleto, Sermones quadragesimales (Venezia, Giorgio Arrivabene, 1502), f. 177v. Su tali testi si veda Carlo Delcorno, « Pour une histoire de l’exemplum en Italie », in Jacques Berlioz et Marie-Anne Polo de Beaulieu (dir.), Les exempla médiévaux. Nouvelles perspectives (Paris, Honoré Champion, 1998), p. 147-176 : 162-163 e 169-173.
26 V differisce : « Secundus dolor est in sepeliendo, quia cum magna confusione sepultus est in inferno, et sicut corpus undique conculcatur terra, sic anima undique conculcatur doloribus inferni. Unde Psalmus : dolores inferni circundederunt me <17, 6> ».
27 Spazio bianco in A, completo sulla base di V.
28 Chiaro riferimento all’inno liturgico Ad coenam agni providi.
29 Cf. Gregorio Magno, Homeliae XL in Evangelia, Omelia XL, PL 76, col. 1308-1309. L’omelia di Gregorio Magno, inserita anche nel Homilarium di Paolo Diacono, è uno dei più influenti testi patristici sulla parabola del ricco epulone.
30 Qui e nel seguito del dialogo, in filigrana si allude al canone delle opere di misericordia corporale, mostrando come il ricco epulone sia l’incarnazione di chi ostinatamente rifiuta di complierle. Già l’esegesi di Nicola di Lira presentava il racconto evangelico come un exemplum usato da Gesù stesso « ad provocandum homines ad opera misericordie » ; il contrasto poi tra l’immagine (negativa) della ‘parabola’ e quella positiva dell’adempimento delle sette opere di misericordia si ritrova in alcuni programmi iconografici, come quello di inizio Quattrocento nel chiostro del duomo di Bressanone ; cf. Delcorno, Lazzaro e il ricco epulone, op. cit., p. 13-20.
31 ‘Gaglioffo’, nella molteplice valenza – ben attestato nell’italiano del Tre e Quattrocento – di furfante, pezzente, poltrone, sfaccendato (GDLI).
32 Qui e nella successive risposta il personaggio di Lazzaro si appropria della descerizione del vangelo, volgendo le frasi alla prima persona singolare.
33 Il predicatore gioca qui sul doppio signifcato di afferrare : ‘capire’ e ‘prendere’.
34 Traduco qui lasciando i termini utilizzati nel latino macheronico del sermone che, anche per seguire l’abitudine menomnica di costrire elenchi in rima, inserisce qui il termine ansietativa, non attestato altrimenti, ma intuitivamente interpretabile come ‘generatrice d’ansia’.
Bibliographie
Bolzoni Lina, La rete delle immagini. Predicazione in volgare dalle origini a Bernardino da Siena, Torino, Einaudi, 2002.
Cherubino da Spoleto, Sermones quadragesimales, a cura di Serafino da Mantova, Venezia, Giorgio Arrivabene, 1502.
Delcorno Carlo, « L’ars praedicandi di Bernardino da Siena », Lettere italiane, 32, 1980, p. 441-475.
Delcorno Carlo, « Pour une histoire de l’exemplum en Italie », in Berlioz Jacques et Polo de Beaulieu Marie-Anne (dir.), Les exempla médiévaux. Nouvelles perspectives, Paris, Champion, 1998, p. 147-176.
Delcorno Carlo e Amadori Saverio, Repertorio degli esempi volgari di Bernardino da Siena, Bologna, CLUEB, 2002.
Delcorno Carlo, « L’Osservanza francescana e il rinnovamento della predicazione », in I frati osservanti e la società in Italia nel secolo XV, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2013, p. 3-53.
Delcorno Pietro, « La Festa di Lazero rico e di Lazero povero. Una sacra rappresentazione fiorentina sulla parabola del ricco epulone », Interpres, 30, 2011, p. 62-135.
Delcorno Pietro, Lazzaro e il ricco epulone : Metamorfosi di una parabola fra Quattro e Cinquecento, Bologna, Il Mulino, 2014.
Delcorno Pietro, « ‘We Have Made It for Learning’: The Fifteenth-Century Florentine Religious Play Lazero ricco e Lazero povero as a Sermon in the Form of Theatre », in Muzzarelli Maria Giuseppina (dir.), From Words to Deeds. The Effectiveness of Late Medieval Preaching, Turnhout, Brepols, 2014, p. 65-97.
Delcorno Pietro, « Quaresimali ‘visibili’ : Il serafino, il guerriero, il pellegrino », Studi medievali, 60/2, 2019, p. 645-688.
Folladore Giulia, « ‘Veloci calamo recollegi’. Daniele da Porcìa, reportator di San Bernardino da Siena (Padova, 1423-1443) », Il Santo, 48, 2008, p. 145-168.
Gagliardi Isabella, « ‘Figura nominis Iesu’ : In margine alla controversia De Jesuitate (1427-1431) », Bullettino dell’Istituto storico italiano per il medio evo, 113, 2011, p. 209-250.
Howard Peter, « The Language of Dives and Lazarus: Preaching Generosity and Almsgiving in Renaissance Florence », I Tatti studies, 23, 2020, p. 33-51.
I sermoni quaresimali : Digiuno del corpo, banchetto dell’anima / Lenten Sermons : Fasting of the Body, Banquet of the Soul, a cura di Pietro Delcorno, Eleonora Lombardo e Lorenza Tromboni [Memorie Domenicane, 48, 2017].
Manselli Raoul, Bernardino da Siena, DBI, 9, 1967, p. 216-225.
Pellegrini Letizia, « San Bernardino of Siena », in King Margaret (dir.), Oxford Bibliographies: Renaissance and Reformation, Oxford, Oxford University Press, 2015.
Dal pulpito alla navata : La predicazione medievale nella sua recezione da parte degli ascoltatori (secc. XIII-XV), a cura di Giancarlo Garfagnini [Medioevo e Rinascimento, 3, 1989].
Pour citer cet article
Pietro Delcorno, « Drammatizzare il Vangelo dal pulpito.
Il sermone di Bernardino da Siena su Lazzaro e il ricco epulone (Padova 1423) », paru dans Loxias, 73., mis en ligne le 15 juin 2021, URL : http://revel.unice.fr/loxias/index.html/lodel/docannexe/file/7601/lodel/index.html?id=9743.
Auteurs
Pietro Delcorno, PhD, est chercheur à la Radboud Universiteit, Nijmegen, où il développe le projet de recherche « Lenten sermon bestsellers : Shaping society in late medieval Europe (1470-1520) », financé par le Conseil néerlandais de la recherche (NWO). Il est l’auteur de nombreuses contributions sur la prédication et le théâtre médiévaux, notamment In the Mirror of the Prodigal Son : The Pastoral Uses of a Biblical Narrative (c. 1200-1550) (Leiden, Brill, 2018).
Pietro Delcorno, PhD, è ricercatore presso la Radboud Universiteit, Nimega, dove sta sviluppando il progetto di ricerca “Lenten sermon bestsellers : Shaping society in late medieval Europe (1470-1520)”, finanziato dal Dutch Research Council (NWO). È autore di numerosi contributi sulla predicazione e il teatro medievale, tra cui si segnala In the Mirror of the Prodigal Son : The Pastoral Uses of a Biblical Narrative (c. 1200-1550) (Leiden, Brill, 2018).
Pietro Delcorno, PhD, is postdoctoral fellow at Radboud University, Nijmegen, where he is developing the research project “Lenten sermon bestsellers : Shaping society in late medieval Europe (1470-1520)”, funded by the Dutch Research Council (NWO). He has authored several contributions on medieval preaching and theatre, including :In the Mirror of the Prodigal Son : The Pastoral Uses of a Biblical Narrative (c. 1200-1550) (Leiden, Brill, 2018).